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Sullo scaffale

Libri

Consigli di lettura, spunti di riflessione, recensioni di libri raccolti nel Centro di documentazione della Fondazione Sasso Corbaro.

A cura di Federica Merlo

Recensioni 

  • 32-2
    Una vita dolce

    Beppe Sebaste
    Neri Pozza, Vicenza, 2022

    Beppe Sebaste è uno scrittore emiliano classe ’59, laureatosi a Bologna con Luciano Anceschi e amico, tra gli altri, del compianto fotografo Luigi Ghirri, che ...

    Beppe Sebaste è uno scrittore emiliano classe ’59, laureatosi a Bologna con Luciano Anceschi e amico, tra gli altri, del compianto fotografo Luigi Ghirri, che nel libro appare così: «seduto di spalle su una sedia di vimini a contemplare il mondo – quel mondo che ci insegnava a vedere e ci invita a guardare sempre di nuovo, come il grande cortile della reggia di Versailles punteggiato di turisti a colori».
    La sua ultima fatica si intitola Una vita dolce. Uscito in maggio tra i Bloom di Neri Pozza, collana che sta sfornando un capolavoro dietro l’altro – Due vite di Emanuele Trevi (recensione) e Un uomo sottile di Pierpaolo Vettori (recensione) (quest’ultimo sarà ospite on-line della Fondazione il 14.09) sono solo due esempi – questo romanzo è tanto bello quanto difficile sia da definire che da raccontare. Per tale motivo, mi permetto di rubare le parole scritte da Mauro Portello in un articolo uscito sulla la rivista on-line Doppiozero, perché credo si avvicinino molto a quanto voglia essere Una vita dolce: «il fluttuare dei pensieri che liberamente si incontrano e si scontrano, e poi sbattono contro la malattia di S., contro il “velo di cemento”, come lei lo definisce, cioè “l’invisibile e spesso insormontabile separazione o estraneità tra sé e tutto il resto, le cose, le parole, i pensieri, e naturalmente se stessa”». Infatti, con una frammentarietà che non disturba il lettore e tra le tante citazioni musicali, letterarie, artistiche e cinematografiche, Sebaste ci consegna una meravigliosa – e meravigliosamente scritta! – storia di sé e del rapporto con la compagna S. all’inizio dello «svaporarsi della memoria» di quest’ultima a causa della malattia di Alzheimer.

    Perché leggerlo? Perché, pur non essendo un libro soltanto sull’Alzheimer – chi lo leggerà si accorgerà di quanti contenuti io abbia dovuto escludere in questo spazio di poche righe – in Una vita dolce, Sebaste è stato capace di parlare con franchezza di chi direttamente o di riflesso questa malattia la vive, in tutte le sue manifestazioni, da quelle più tragiche «I pazienti sono impediti proprio laddove più dolorosamente pulsa l’organo che sovrintende alla sorgente delle parole, cioè del mondo» a quelle più quotidiane «“che fai, ti metti i pantaloni?” e lei risponde ridendo: “no, no, me li tolgo”. Invece li sta infilando, e per poco non discutiamo perché le faccio notare la differenza».

    Una citazione dal libro: «Per questo continuo a scrivere. Lei sa che sono alla ricerca di frasi pulite, possibilmente quasi perfette, non per addobbarci ma spogliarci. Approva la disperazione capace di creare e donare energia. Le faccio leggere quello che scrivo e non so che cosa sia, salvo ‘una cosa nuova’. Chi più sapiente di lei, per la quale tutto è ogni volta nuovo e sempre uguale, come il jazz e le carezze?».

    Federica Merlo
    Newsletter #32, settembre 2022

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  • 32-3
    Cuori fanatici

    Edoardo Albinati
    Rizzoli, Milano, 2019

    La letteratura tra i suoi moltissimi pregi ha quello di poter essere un «bene rifugio» al quale affidarsi quando abbiamo ...

    La letteratura tra i suoi moltissimi pregi ha quello di poter essere un «bene rifugio» al quale affidarsi quando abbiamo bisogno di certezze… quando abbiamo bisogno di non sbagliare libro. Nel mio caso, uno degli scrittori «rifugio» è, senza dubbio, il vincitore del premio Strega 2016, Edoardo Albinati.
    Cuori Fanatici, primo tassello di una trilogia di romanzi intitolata Amore e ragione, pubblicati dopo l’enorme successo de La Scuola Cattolica (premio Strega 2016), narra le vicende di alcuni personaggi principali – Nanni, professore trentenne padre di tre bambine, sua moglie Costanza e Nico, giovane e promettente scrittore nonché migliore amico di Nanni – e di tanti personaggi secondari, tutti accomunati dal vivere un’esistenza in costante balia di desiderio e razionalità… amore e ragione, appunto.
    Albinati, maestro nel raccontare la borghesia romana, con Cuori Fanatici è riuscito a regalare ai lettori un romanzo che unisce alle tante storie che si intrecciano una profondità di pensiero rara. Inoltre, grazie alle sue straordinarie capacità stilistiche e formali, il libro diventa un piacere di lettura del quale gli amanti della grande letteratura non dovrebbero privarsi. Intesi?

    Perché leggerlo? Perché dal 30 agosto, con l’uscita del terzo capitolo, Uscire dal mondo, la trilogia Amore e Ragione è finalmente completa e coloro che si saranno innamorati dell’Albinati di Cuori Fanatici, avranno, da subito, anche gli altri due capitoli a loro disposizione.

    Una citazione dal libro: «Da quel nudo elenco di disillusioni. Si scopre che le cose corrispondono ai luoghi comuni che da millenni li avvolgono. Che le persone sono bugiarde, e i soldi contano, che si invecchia davvero e invecchiando si diventa conservatori e miopi quanto da giovani si era fanatici».

    Federica Merlo
    Newsletter #32, settembre 2022

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  • 31-2
    I racconti

    Daniele Del Giudice
    Einaudi, Torino, 2016

    Il 2 settembre dell’anno scorso, all’età di 72 anni, ci lasciava – dopo essere già «svanito» da molto tempo a causa della malattia di ...

    Il 2 settembre dell’anno scorso, all’età di 72 anni, ci lasciava – dopo essere già «svanito» da molto tempo a causa della malattia di Alzheimer che lo colpì precocemente – lo scrittore Daniele Del Giudice. Del Giudice, che fu scoperto da Italo Calvino, è purtroppo ancora poco noto al pubblico dei lettori, ma molto amato dai suoi colleghi e riconosciuto dalla critica italiana e internazionale.
    I suoi racconti, precedentemente pubblicati in vari volumi, sono stati raccolti in questo I racconti, pubblicato da Einaudi nel 2016 nella prestigiosa collana «Letture», con una bella prefazione del premio Strega Tiziano Scarpa.
    Come sempre, è impresa ardua parlare di una raccolta di racconti senza rischiare di focalizzarsi solo su alcuni. In questo caso, tra l’altro, non solo sarebbe un torto a quanto prodotto da Del Giudice ma, considerata la qualità eccezionale di ciascuno, sarebbe praticamente impossibile qualsiasi selezione.
    Mi limito quindi a consigliare in maniera spassionata la lettura di questo libro perché, in primis, a mio parere (ma se cercate in giro, scoprirete che non sono la sola a pensarla in questa maniera!) è una delle raccolte di racconti più belle del Novecento italiano. Seconda cosa, ci troverete «tutto» Del Giudice: la sua prosa «illuminista», razionale, minimale, precisa e tuttavia capace di coinvolgere il lettore in maniera quasi magica e incomprensibile. E infine, questo I racconti è la maniera migliore per conoscere Del Giudice, innamorarsene, come è successo a me già dalla lettura del primo Nel museo di Reims e correre a recuperare anche tutti i suoi romanzi.
    (A tal proposito, l’esordio di Daniele Del Giudice, il romanzo Lo stadio di Wimbledon, è ascoltabile gratuitamente, grazie al programma «Ad alta voce» di Rai Radio 3, a questo link).

    Perché leggerlo? Per prepararsi alla serata on-line con Pierpaolo Vettori, Elena Stancanelli e Roberto Ferrucci dal titolo «Svanire, volare via… » che la Fondazione Sasso Corbaro dedica il 14 settembre alle 20.30 a questo grande scrittore italiano.

    Una citazione dal libro: dal racconto Nel museo di Reims «È un peccato che per me, proprio per me, la luce si stia cambiando in ombra. Sarebbe un peccato per chiunque naturalmente, ma è difficile accettare di essere scelti per certi destini, specie quando mi sveglio così di colpo nel cuore della notte, e tutto diventa più drastico e senza respiro, e perfino una faccenda come la mia che non avrebbe momenti più drammatici essendo già sul limite ogni ora, tocca una soglia ancora più scabra, di notte, quando tutto è fuori misura, nel buio, che anticipa il buio nel quale finirò, e in ore come questa faccio già le prove».

    Federica Merlo
    Newsletter #31, Agosto 2022

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  • 31-3
    I Netanyahu. Dove si narra un episodio minore e in fin dei conti trascurabile della storia di una famiglia illustre.

    Joshua Cohen
    Fitzcarraldo Editions, Londra, 2022 / Codice, Torino, 2022 

    I Netanyahu. Dove si narra un episodio minore e in fin dei conti trascurabile della storia di una famiglia illustre (...

    I Netanyahu. Dove si narra un episodio minore e in fin dei conti trascurabile della storia di una famiglia illustre (titolo stupendo!) di Joshua Cohen, ha vinto il premio Pulitzer per la narrativa nel 2022. In realtà, il libro in italiano uscirà il 7 settembre per Codice, casa editrice che pubblica tutto Cohen e lo fa, sempre affidando la traduzione a Claudia Durastanti, una delle migliori scrittrici e traduttrici italiane (intervistata sulla rMH).
    Io, che di Cohen sono fan sfegatato e che ho letteralmente brindato alla notizia del prestigioso riconoscimento, non sono riuscito a resistere e l’ho letto in inglese (basta un buon livello e la voglia di usare il vocabolario per qualche termine particolare), nell’edizione Fitzcarraldo (Regno Unito).
    Avevo pochi dubbi, ma anche in questo caso, devo partire col dire che Cohen ha scritto un altro capolavoro; Pulitzer o no, questo libro è il meglio che, almeno dal fronte Stati Uniti, possiamo aspettarci da una certa narrativa letteraria.
    Fatte queste dovute premesse, I Netanyahu è una commedia dissacrante, quasi Alleniana, che racconta quanto succede a un professore universitario di storia dello stato di New York di origini ebraiche, Ruben Blum (liberamente ispirato, come lo stesso Cohen ha dichiarato al grande critico Harold Bloom), quando viene incaricato nel 1959 di assistere uno studioso israeliano che, lo stesso dipartimento nel quale Blum insegna, sta valutando di assumere. Detto ciò, mi fermo per non togliere il gusto della scoperta di quanto accadrà e anzi provo ad alimentarlo ancora di più aggiungendo che questo nuovo arrivato altri non è che Ben-Zion Netanyahu, padre di quel Benjamin che alcuni decenni dopo diventerà primo contestatissimo/amatissimo ministro del complicato stato di Israele.
    Vi piace Roth, vi piace Bellow, vi piace Malamud, vi piace De Lillo (anche se in questo caso, a differenza degli altri romanzi e racconti di Cohen, si sente meno un certo post-modernismo), vi piace Allen, vi piace la serie Shtisel… allora questo libro fa assolutamente per voi! Non siete particolarmente interessati al tema dei conflitti culturali e religiosi degli ebrei americani e al confronto con la loro storia, nel post-Seconda guerra mondiale? Beh, fa niente, fidatevi, questo libro fa lo stesso per voi… perché, come sempre, di fronte ai capolavori letterari, non importa tanto cosa c’è scritto, ma come è scritto, e questo I Netanyahu è un romanzo stre-pi-to-so. Punto.

    Perché leggerlo? Perché nessun amante della lettura dovrebbe perdersi il miglior libro dell’anno. E perché il miglior libro dell’anno è una commedia intelligente (merce rara!) e piena d’interessanti spunti di riflessione anche per i tempi che corrono.

    Una citazione dal libro: «All of these changes are certainly remarkable, and yet the fact remains that the youth today is more sensitive than ever. I admit I don’t know how to understand this phenomenon and have sought to approach it «economically», asking the question whether an increase in sensitivity has brought about a decrease in discrimination, or whether a decrease in discrimination has brought about an increase in sensitivity to when, where, and how it occurs».

    Nicolò S. Centemero
    Newsletter #31, Agosto 2022

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    Etica dell’intelligenza artificiale

    Luciano Floridi
    Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022

    Tra i primi saggi che recensisco in «Sullo scaffale», dove la narrativa la fa solitamente da padrone, questo Etica dell’intelligenza artificiale, scritto dal professor Luciano Floridi (ordinario ...

    Tra i primi saggi che recensisco in «Sullo scaffale», dove la narrativa la fa solitamente da padrone, questo Etica dell’intelligenza artificiale, scritto dal professor Luciano Floridi (ordinario di filosofia ed etica dell’informazione a Oxford e di sociologia della Cultura e della Comunicazione a Bologna) merita sicuramente l’attenzione degli amici della Fondazione Sasso Corbaro. La ragione è semplice e la si trova nel titolo. L’etica, che Floridi va ad esplorare all’interno del mare magnum dell’«intelligenza artificiale» (IA), è infatti uno degli interessi maggiori della Fondazione e, seppur il saggio non abbia l’intento di indagare in maniera specifica le applicazioni dell’IA nel mondo sanitario e anzi si possa piuttosto definire un’analisi a trecentosessanta gradi dell’utilizzo dell’IA in molti settori, non sono affatto rari gli esempi che provengono dal settore socio-sanitario (precisi riferimenti bibliografici permettono, tra l’altro, al lettore interessato di recuperare le pubblicazioni citate).

    Se dovessi selezionare i capitoli che ho trovato maggiormente interessanti (considerate che si tratta di un giudizio personale e non mi stupirebbe che la vostra curiosità ve ne faccia apprezzare probabilmente altri tra i quattordici di cui il libro è composto), il quarto capitolo nel quale Floridi definisce i principi etici fondamentali dell’IA (quattro sono gli stessi della bioetica: beneficienza, non maleficenza, autonomia e giustizia e il quinto è l’esplicabilità, ovvero il «Come funziona?» e il «Chi è responsabile del modo in cui funziona?») e il tredicesimo capitolo, nel quale il professore si sofferma a valutare le possibili applicazioni dell’IA per il bene sociale e l’impatto di progetti basati su questa tecnologia sui 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, sono sicuramente i miei favoriti.

    Perché leggerlo? Perché pensiamo di sapere qualcosa di IA, ma molto di quanto sappiamo – escludendo gli addetti ai lavori, chiaramente – è spesso nebuloso, impreciso e superficiale. Questo bel saggio di Luciano Floridi aiuta, invece, a fare parecchia chiarezza.

    Una citazione dal libro: «L’IA sta fornendo una riserva crescente di capacità di «agire smart». Messa al servizio dell’intelligenza umana, tale risorsa può potenziare enormemente l’agire umano. Possiamo fare di più, meglio e più velocemente, grazie al sostegno fornito dall’IA. Nel senso di «intelligenza aumentata», l’IA potrebbe essere paragonata all’impatto avuto dal motore sulle nostre vite. Maggiore è il numero di persone che godranno delle opportunità e dei benefici di una tale riserva di agire smart «a disposizione», migliori saranno le nostre società. La responsabilità è dunque essenziale, in considerazione del tipo di IA che sviluppiamo, di come la utilizziamo e se ne condividiamo vantaggi e benefici con tutti. Naturalmente, il rischio corrispondente risiede nell’assenza di tale responsabilità».

    Federica Merlo
    Newsletter #30, Luglio 2022

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    Canoe

    Maylis De Kerangal
    Feltrinelli, Milano, 2022

    Tra le scrittrici più importanti del panorama letterario francese, Maylis de Kerangal, della quale abbiamo già recensito in «Sullo scaffale» il bel ...

    Tra le scrittrici più importanti del panorama letterario francese, Maylis de Kerangal, della quale abbiamo già recensito in «Sullo scaffale» il bel romanzo Riparare i viventi, è appena uscita in italiano con Canoe (in Francia il libro è stato pubblicato nel 2021 da Gallimard, suo storico editore).
    Canoe è una raccolta di otto racconti – sette di lunghezza non superiore alle 15 pagine, uno, Mustang, si potrebbe invece considerare una storia lunga, di una sessantina di pagine – legati tra loro dalla costante presenza di una «canoa» in differenti forme (un ciondolo dorato, un oggetto di arredamento, la forma della scia della cometa di Halley nel 1986 etc.). Tuttavia, come ben ha notato Alessandra Sarchi su La Lettura del Corriere della Sera del 19 giugno 2022, «se la canoa è l’amuleto che racchiude la possibilità di un attraversamento […] l’altro polo tematico intorno cui ruota la raccolta è quello della voce umana, intesa come forma indelebile e unica, almeno quanto l’iride degli occhi o l’impronta digitale, dell’identità di ogni individuo». De Kerangal stessa, a tal proposito, ha dichiarato che la sua è stata una ricerca della propria voce tra la voci delle sue protagoniste, tutte donne, di tutte le età, solitarie, sognatrici, volubili, ossessionate, marginali ma sempre verissime.
    Tutto questo viene messo sulle pagine con uno stile estremamente raffinato e caratteristico, con il quale de Kerengal è capace di emozionare e di trascinare il lettore nei luoghi delle sue personagge, siano essi fisici o mentali. Insomma, anche questo Canoe, conferma e ribadisce il talento di una scrittrice brava come poche.

    Perché leggerlo? Banalmente? Perché è un nuovo libro di Maylis… quindi, imperdibile!

    Una citazione dal libro: «Io non riconosco più la voce di Sam. Da quando ci siamo ritrovati all’aeroporto, mentre l’emozione di rivederci, di riunirci per quella che si annunciava come una nuova fase della nostra vita insieme, ravvivava la goffaggine febbrile, quel misto di slancio e di ritrarsi pudico, tipico degli innamorati provati dalla separazione, ho percepito una variazione, seppure leggera, così tenue che non mi ci sono soffermata, perché quella voce continuava a essere la sua senza alcun dubbio e perché noi eravamo stravolti dalla situazione».

    Federica Merlo
    Newsletter #30, Luglio 2022

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  • 29-1
    Questi capelli

    Djaimilia Pereira de Almeida
    La Nuova Frontiera, Roma, 2022

    Questi capelli (pubblicato in italiano da poco da La Nuova Frontiera, ma uscito nel 2015 in portoghese) già dal prologo – bellissimo! –  ci fa capire che ...

    Questi capelli (pubblicato in italiano da poco da La Nuova Frontiera, ma uscito nel 2015 in portoghese) già dal prologo – bellissimo! –  ci fa capire che quelle 150 pagine che abbiamo per le mani saranno qualcosa di non comune.
    Il libro, infatti, esordio di Djaimilia Pereira de Almeida, portoghese arrivata a Lisbona a tre anni dall’Angola, è un memoir atipico e frammentario che si inserisce in quella letteratura che viene definita «post-coloniale». La protagonista Mila racconta in prima persona, usando l’espediente narrativo delle esperienze vissute dai suoi capelli – fatte di saloni sgangherati, parenti che si improvvisano parrucchieri e prodotti chimici per renderli lisci – quegli episodi della sua vita passati con i genitori, con i nonni e con gli amici che l’hanno resa la donna che è. Ne risulta una sorta di esplorazione di sé in rapporto con la sua storia, con quella della sua famiglia e con quella delle migrazioni dal continente africano… un po’ fallace però, per colpa della memoria. «Non possiamo negare che la nostra infanzia ha cambiato colore, la sua colorazione ora non è il seppia della fotografia, ma il seppia della nostra dimenticanza» dice a tal proposito Mila e anche «tutta la memoria è incognita».

    Perché leggerlo? Perché contiene la verità nei dettagli, una struttura indomabile e tante riflessioni profonde che spesso sfidano chi legge… a rileggere.

    Una citazione dal libro: «Non c’è molto da imparare dalla maggior parte delle cose che ci succedono, nonostante quello che si dice sul fatto che tutto ci renda persone migliori. Tantomeno esiste qualcosa che possiamo imparare da soli, anche se esaltiamo i camminatori solitari e le loro chiamate individuali che non nascondono però il broncio che hanno preso dai nonni, il rimorso altero che hanno ereditato dalle madri. Si è soliti dire che tutto ha un significato, ma non è che è un modo, per il terrore umano, di convivere con l’ingiustizia».

    Recensione di Federica Merlo
    Newsletter #29 - Giugno 2022

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  • 29-2
    Le malorose

    Sara Catella
    Casagrande, Bellinzona, 2022

    Parto dal dire che, ormai, ogni uscita di Casagrande, editore bellinzonese con un catalogo di pregio assoluto, è per me una certezza ancor prima di sfogliarla. E ...

    Parto dal dire che, ormai, ogni uscita di Casagrande, editore bellinzonese con un catalogo di pregio assoluto, è per me una certezza ancor prima di sfogliarla. E già questo, in un mondo editoriale dove si pubblica troppo e male (in maniera frettolosa, con poca cura per il prodotto e con poca attenzione alla promozione dello stesso) è un valore aggiunto di questa casa editrice che le va assolutamente riconosciuto.
    A scatola chiusa e, devo ammettere, anche su suggerimento dell’amico scrittore Sebastiano Marvin (grazie Seba!), ho quindi comprato anche la loro ultima uscita di narrativa, Le malorose, esordio della luganese Sara Catella.
    Il romanzo, frutto di una meticolosa ricerca fotografica (alcuni spunti derivano dall’archivio di Roberto Donetta, fotografo ticinese che visse a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo) è una sorta di monologo lungo una 80ina di pagine e composto da brevi capitoli, nel quale, la protagonista Caterina Capra, levatrice di Corzonesco, è «costretta» a causa del suo saper prendersi cura e della conoscenza dei rudimenti della pratica infermieristica ad assistere il curato del paese, don Antonio Bolgeri, ormai definitivamente allettato, totalmente inabile e non più in grado nemmeno di parlare. Tutto il racconto risulta essere una specie di confessione – dove il confessore ha solo orecchie per sentire – nella quale Caterina riversa tutte le frustrazioni della sua vita e di quella delle altre malorose, donne disgraziate, fiaccate dal lavoro, da una vita di stenti e spesso lasciate sole a portare avanti un paese che si svuota dei suoi uomini a causa della guerra o del tentativo di far fortuna altrove – in Francia nelle miniere, in Inghilterra e in America (interessante l’episodio legato al Titanic, che lascio scoprire ai lettori).
    Quello che, oltre al valore di denuncia – se avessimo una macchina del tempo Caterina Capra ai giorni nostri sarebbe, senza dubbio, una paladina dei diritti delle donne! – e alla memoria storica, mi ha stupito del libro è la capacità di Sara Catella di creare una lingua «sua», missando in maniera misurata il dialetto con l’italiano, ma senza che questa operazione pregiudichi in alcun modo la comprensione (c’è comunque un dizionario alla fine del volume) e anzi, riuscendo a sfruttare a pieno la potenza sonora ed evocativa della lingua parlata nei luoghi in cui la vicenda si svolge.

    Perché leggerlo? In questo caso, non vi do i miei "perché", ma vi invito ad andare in libreria, aprire il libro e leggere la prefazione di Laura Pariani… di sicuro filerete diretti alla cassa con Le malorose tra le mani.

    Una citazione dal libro: «O quella cosa di chiudere forte gli occhi, di riaprirli e sperare che quella disgrazia sia sparita. Lo saprà anche il beato lassù, che anche i pòura gent hanno dei sogni? Crescendo si diventa più tristi e desolati, alla fine non ci si spera neanche più. La vita è questa, quella da tütt i dì».

    Recensione di Nicolò S. Centemero
    Newsletter #29 - Giugno 2022

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Federica Merlo

Ricerca e documentazione

Educatrice. Svolge la sua attività clinica presso l’unità minorenni dell’OTAF e la sua attività di ricerca presso l’Istituto di Salute Pubblica della Facoltà di Scienze biomediche (USI). È collaboratrice della Fondazione Sasso Corbaro dal 2014.

Ha concluso un Bachelor in Lavoro Sociale e un MAS in Etica Clinica e Medical Humanities della SUPSI. Attualmente sta concludendo il quinto anno di Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano.

Contatti: federica.merlo@sasso-corbaro.ch