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Sullo scaffale

Libri

Consigli di lettura, spunti di riflessione, recensioni di libri raccolti nel Centro di documentazione della Fondazione Sasso Corbaro.

A cura di Federica Merlo

Recensioni 

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    Shock

    Carlo Patriarca
    Neri Pozza, Vicenza, 2022

    Carlo Patriarca, medico anatomopatologo e scrittore, decide, in questo suo terzo romanzo, Shock, di parlare di Ugo Cerletti, neurologo italiano nato negli anni settata del XIX secolo ...

    Carlo Patriarca, medico anatomopatologo e scrittore, decide, in questo suo terzo romanzo, Shock, di parlare di Ugo Cerletti, neurologo italiano nato negli anni settata del XIX secolo e inventore della terapia elettroconvulsivante – più nota con il termine di elettroshock.
    Bella e interessante è, in particolare, la prospettiva con cui sceglie di trattare la figura – difficile e sin qui colpevolmente dimenticata – di Cerletti e il percorso di vita che ha condotto questo medico, nel «secolo breve» (Cerletti ha vissuto entrambe le guerre mondiali) alle sperimentazioni dell’elettroshock sugli animali per poi arrivare ai primi trattamenti sui pazienti. Lo stesso Patriarca, che ho avuto l’onore di ospitare a «Gli scrittori e la malattia» (qui recuperate la serata) in quell’occasione ha detto: «ho deciso di raccontare questa storia, attraverso gli occhi un po’ devoti di un suo assistente come “antidoto” alla terapia elettroconvulsivante; vedere questa figura attraverso gli occhi di chi non ha per pregiudizio un atteggiamento critico – un allievo nei confronti del maestro». Bello è anche il fatto che il legame tra i due – senza svelare troppo – vada al di là delle corsie e dei luoghi più disparati e assurdi in cui si facevano ai tempi le prime pionieristiche ricerche, tramite la figura della madre dell’allievo e del fratello di questo, Giovanni.
    Patriarca, mischiando la realtà (la documentatissima vita di Cerletti) alla fantasia (l’allievo e la sua famiglia sono invenzione dello scrittore) ha creato un piccolo gioello – piccolo solo perché si legge tutto d’un fiato, in un pomeriggio, volendo – che ci riporta indietro negli anni del boom delle scoperte nella medicina, ci fa conoscere figure storiche che hanno creato alcune delle basi sulle quali si fonda la moderna neurologia e soprattutto, lascia al lettore il compito di farsi una propria opinione anche quando gli argomenti diventano più controversi.

    Perché leggerlo? Perché, oltre a essere un bellissimo romanzo storico, questo libro ci invita – grazie agli elementi forniti dall’accurata ricerca di Patriarca – a contestualizzare e a capire, senza facili entusiasmi, il come e il perché certe scoperte siano avvenute proprio in quegli anni.

    Una citazione dal libro: «Ma era una terapia? Il paziente torna cosciente, si risveglia a scaglioni, allenta le mascelle, può parlare. Dopo pochi minuti si addormenta, dorme per qualche ora e poi si risveglia ristorato. Era una terapia? La metafora bellica andava alla grande, ma in medicina è sempre stato così. Che si tratti di oncologia, di pandemie o di psichiatria, i medici accerchiano, colpiscono su più lati, combattono finché la malattia non ha la faccia nella polvere».

    Nicolò S. Centemero
    Newsletter 38 - Marzo 2023

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    Il paradosso della sopravvivenza

    Giorgio Falco
    Einaudi, Torino, 2023

    Ogni volta che Giorgio Falco, scrittore italiano tra i più talentuosi sulla piazza, pubblica un romanzo, è per me una festa. L’ultima uscita datava fine 2020, il titolo era ...

    Ogni volta che Giorgio Falco, scrittore italiano tra i più talentuosi sulla piazza, pubblica un romanzo, è per me una festa. L’ultima uscita datava fine 2020, il titolo era Flashover e parlava dei responsabili dell’incendio al teatro La Fenice di Venezia. Una bomba, bellissimo!
    A conferma della grande capacità di Falco d’indagare l’umano anche nelle sue forme più abiette e perverse arriva quest’anno, sempre nella prestigiosa collana Super Coralli di Einaudi, Il paradosso della sopravvivenza. Il libro ha per protagonista Federico, detto Fede, o meglio il «ciccione», ragazzo di Pratonovo, paese immaginario del Trentino, laureato in storia e con chiare difficoltà di relazione con il cibo, con l’altro sesso e sul lavoro. Se proprio quest’ultimo è sempre stato uno dei temi portanti della narrativa di Falco, in questo caso, seppur presente (le pagine che descrivono il periodo trascorso da Fede a taggare video pornografici per una società informatica descrivono bene quello che qualche anno dopo, ai giorni nostri, sarebbe diventato il fenomeno della pornografia on-line), in questo caso è anche e soprattutto il tema del corpo che domina sugli altri. Giulia, bella e ricca ragazza di Pratonovo, che usa la sua avvenenza per maltrattare Fede facendogli mangiare in maniera compulsiva quello che lei, ai limiti dell’anoressia, non può e non vuol mangiare. Barbara, detta «Barbie cassonetto», ragazza obesa che Fede incontra a Milano, dove si era trasferito per sfuggire a Giulia e al paese, con la quale intraprende una relazione che fallisce in breve tempo per un lapsus legato al nomignolo affibbiatole dai loro colleghi. Granit, uno di questi che a causa di un tuffo resta invalido e diventa il termine di paragone per la disabilità (l’obesità lo è?) di Fede… «La condizione di ciccione è invalidante quasi come un incidente, ma Fede non ha avuto alcun trauma improvviso, soltanto l’accumulo dei giorni, la vita. Non basta questo? si chiede mentre apre il frigorifero l’anta cigola sopportando il peso del tempo di fabbricazione, di altri inquilini finiti chissà dove».
    Il poeta Gianni Montieri scrive a proposito del Il paradosso della sopravvivenza in un bell’articolo comparso su Doppiozero che questo è «un romanzo che nasce dalla capacità di Giorgio Falco (evidente in ogni libro che ha scritto) di osservare la realtà e le cose per quello che sono, per come appaiono, per come avrebbero potuto essere. Di andare a fondo alle cose» e ha ragione da vendere. Falco, con la sua incredibile scrittura, sempre riconoscibile nei toni e nelle atmosfere che le sue parole sanno evocare – qui c’è tanta malinconia e solitudine – anche questa volta riesce a dirci, meglio di quanto riusciamo a fare noi stessi, quello che abbiamo intorno, quello che ci accade, quello che non ci piace, quello che non vorremo.

    Perché leggerlo? Perché la letteratura, così come il cinema (faccio notare che questo è anche l’anno in cui Brendan Fraser ha vinto un oscar meritatissimo per aver interpretato Charlie il superobeso protagonista in The Whale del regista Darren Aronfsky) e le arti in generale (Medical Humanities!), sono capaci di esplorare i temi che trattano con una profondità così umana che la scienza non potrà mai raggiungere. E questo romanzo ne è il chiaro esempio.

    Una citazione dal libro: «È la fine di un altro inverno. Ieri c’è stata una specie di nevicata, la temperatura era al di sopra della media stagionale: troppo alta per nevicare davvero. È caduta una neve zuppa, fiocchi inconsistenti disorientavano lo sguardo trasformandolo in un’occhiata acquosa, malinconica, votata al pianto. I fiocchi attecchivano sul terreno, e subito si scioglievano con uno scricchiolio come quando, con le dita, si schiacciano i pidocchi».

    Federica Merlo
    Newsletter 38 - Marzo 2023

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    Nuoto libero

    Julie Otsuka
    Bollati Boringhieri, Milano, 2022

    Da sempre la Fondazione Sasso Corbaro si occupa del tema delle demenze. Nel settembre dello scorso anno, ad esempio, si è parlato di ...

    Da sempre la Fondazione Sasso Corbaro si occupa del tema delle demenze. Nel settembre dello scorso anno, ad esempio, si è parlato di uno scrittore italiano, Daniele Del Giudice – un grande di fine Novecento – che purtroppo ne ha sofferto (qui potete recuperare la serata). Un’altra occasione invece, ci sarà a breve, il 22 febbraio alle 20.30 on-line, all’interno del ciclo «Gli scrittori e la malattia» insieme a Beppe Sebaste e al suo romanzo autobiografico Una vita dolce (già recensito in «Sullo scaffale»).

    Proprio la demenza di Alice, madre della narratrice, è la protagonista di Nuoto libero, breve e fulminante romanzo di Julie Otsuka, scrittrice americana di chiare origini nipponiche. Il libro, scritto quasi interamente in prima persona plurale (scelta non comune e già per questo degna di nota) narra un rapporto madre-figlia di intimità e rimpianto. Otsuka, che utilizza uno stile minimale e ricorre spesso a elenchi di dettagli capaci di trasmettere la semplicità del quotidiano, decide di strutturare il romanzo in due parti. La prima, dedicata a una piscina e ai suoi nuotatori habitué, tra cui anche Alice, contraddistinti dalle loro peculiari caratteristiche e idiosincrasie che fan sorridere il lettore. La seconda, nella quale protagonista diventa la malattia degenerativa che intacca ricordi e funzioni e rende Alice «persona con cui è difficilissimo vivere» costringendola a trasferirsi al Bellavista «residenza a lungo termine for profit per disturbi della memoria». Senza svelare troppi dettagli di trama che rovinerebbero il gusto della lettura di un romanzo che si termina in poche ore, ho trovato molto interessante il ricorso che Otsuka fa alla «crepa», concreta all’inizio quando compare sul fondale della piscina e poi – a legare prima e seconda parte – metafora di quanto accade in un cervello che si ammala.

    Perché leggerlo? Perché Nuoto libero è un ottimo esempio di quella letteratura che parla di malattia, capace di far riflettere sulle domande, umanissime, che ci facciamo noi esseri umani: cosa diventiamo senza i nostri ricordi? Cosa facciamo quando non siamo più in grado «di fare»? Come scendiamo a patti col fatto che i nostri cari si ammalano e non sappiamo curarli?

    Una citazione dal libro: «Non ricorda come si è fatta quei lividi sulle braccia, né di essere uscita a passeggio con te questa mattina. Non ricorda di essersi chinata, durante la passeggiata, per cogliere un fiore dal giardino di un vicino e infilarselo tra i capelli. Magari tuo padre mi bacerà, adesso. Non ricorda cos’ha mangiato ieri sera a cena, né quando ha preso la medicina. Non si ricorda di pettinarsi».

    Federica Merlo
    Newsletter 37 - Febbraio 2023

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    In Svizzera – Sulle tracce di Helvetia

    Lorenzo Sganzini
    Gabriele Capelli Editore, Mendrisio, 2022

    Sono un immigrato. Dal 2010 vivo a Lugano. Sono nato in un altro posto, in un altro stato e qui dove sto adesso, non son certo l’unico. Ma ...

    Sono un immigrato. Dal 2010 vivo a Lugano. Sono nato in un altro posto, in un altro stato e qui dove sto adesso, non son certo l’unico. Ma son certo di non essere nemmeno l’unico che, per varie e svariate ragioni – tra le quali la supponenza, caratteristica di molti di noi, che se sto in un posto, beh, quel posto lo conosco solo per il fatto di starci – non conosco il posto dove sto. E allora, anche per questo, ho letto in un paio di giorni un romanzo fuori dalla mia abituale comfort zone – come dicono quelli giovani e trendy. Il libro in questione è In Svizzera – Sulle tracce di Helvetia pubblicato di recente dal localissimo editore Gabriele Capelli. L’autore e protagonista è Lorenzo Sganzini, classe ‘59 e tante cose fatte per la cultura in Ticino, il quale «ha avvertito il desiderio di uno sguardo più suo e la necessità di andare a cercarlo in un viaggio attraverso il Paese» (semi-cit. dal testo) dopo aver letto sui giornali, un primo d’agosto, i resoconti dei discorsi per la festa nazionale. E mi dico, sorridendo… magari facessero a tutti questo effetto!

    Any way, sì, si è già capito, lo so, ma repetita iuvant (a proposito, se si viaggia si incontra la storia e la storia della Svizzera ci dice che prima che Nostra Signora parlasse tre lingue e un po’, parlava, o forse meglio dire, scriveva anche in latino… vero «Helvetia»?), che questo è, come dice anche la copertina un – aggiungo io bel – «romanzo di viaggio». Un viaggio che Sganzini comincia in Engadina, lassù, sul Piz Lunghin (eh sì, pure i dialetti, pure-i-dialetti si parlano in questa Svizzera!) e finisce dopo varie peregrinazioni e pellegrinaggi – non solo spaziali ma anche temporali – nel palazzone col tetto verde, quello al centro della città dell’orso, dove si decide quotidianamente come Sig. ra Helvetia si deve comportare.

    Perché leggerlo? Perché chi non sa, saprà, chi sapeva e ha dimenticato ricorderà e insieme a quelli che sanno già tutto si godranno una lettura interessante, che affronta la materia in maniera briosa e mai noiosa e senza rinunciare ai documentatissimi – prova ne è la ricca bibliografia – dettagli storico-geografici.

    Una citazione dal libro: «Quando decido di tornare lassù, allo spartiacque, l’idea stava incominciando a prendere corpo pian piano. Assieme a me c’è Chantal, mia moglie, che mi accompagnerà in tutto il viaggio. La bella giornata d’agosto sembra perfetta, ma come può capitare in montagna d’improvviso ci sorprende il maltempo. La temperatura scende fino quasi a sfiorare lo zero e la nebbia si fa così fitta da rendere persino difficile seguire il sentiero. Gocce taglienti di pioggia portata dal vento ci colpiscono i volti arrossati dal freddo. Senza accorgerci arriviamo al laghetto, la sorgente dell’Inn».

    Nicolò S. Centemero
    Newsletter 37 - Febbraio 2023

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  • 36-2
    Il Cristo iracheno

    Hassan Blasim
    Utopia, Milano, 2022

    Poeta, editor, regista e scrittore iracheno, Hassan Blasim, classe ’73, dopo gli studi in patria all’Accademia di arte cinematografica, a causa ...

    Poeta, editor, regista e scrittore iracheno, Hassan Blasim, classe ’73, dopo gli studi in patria all’Accademia di arte cinematografica, a causa della critica politica e sociale presente all’interno delle sue opere, è stato costretto alla fuga e ora vive da rifugiato in Finlandia.

    Di Blasim, che l’inglese The Guardian non ha esitato a definire «il più grande scrittore vivente di lingua araba», è da pochissimo uscita in italiano la raccolta di racconti Il Cristo Iracheno.

    Si tratta di 12 racconti di circa una decina di pagine ciascuno, nei quali dal reale si passa spesso al fantastico nel giro di una frase oppure, in altri casi, i due elementi si fondono in maniera indissolubile, generando un effetto straniante e dirompente nel lettore, ulteriormente amplificato da una prosa cruda, durissima e a tratti macabra.

    È difficile che in una raccolta di racconti il livello si mantenga sempre elevato, ma in questo caso ci troviamo davvero davanti a una «eccezione che conferma la regola». Grazie anche alle tematiche, che mantengono le storie tra loro unite da un fil rouge fatto di guerra, fanatismo, terrorismo, emigrazione e soprattutto profondi traumi umani, lo scrittore arabo, che purtroppo conosce fin troppo bene la materia di cui racconta, è stato capace – servendosi anche di un bagaglio culturale fatto di una certa letteratura americana e sudamericana – di creare racconti memorabili e strazianti, i cui protagonisti, come solo quelli della grande letteratura sanno fare, ti lacerano e ti «rimango dentro».

    Perché leggerlo? Perché, usando le parole di Gerardo Masuccio, editor della casa editrice Utopia (che sarà ospite de «Gli scrittori e la Malattia» l’8 febbraio qui il link) «se la vita, nei suoi orizzonti certi, è attraversata da un dolore inesprimibile, è lecito trovare nell’illusione la forza per sfidare l’oggi e osare un nuovo domani».

    Una citazione dal libro: «Ho trascorso gli anni della mia infanzia e dell’adolescenza a spiare tutti come un cecchino nascosto nel buio. Miravo e facevo fuoco. Sparavo sugli incubi della mia vita con altri incubi, i miei incubi immaginari. Mi figuravo scene in cui mia madre e gli altri venivano torturati, e nel mio libro di scuola disegnavo enormi camion che schiacciavano le teste dei bambini».

    Federica Merlo
    Newsletter 36 - Gennaio 2022

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  • 36-1
    Perché scrivo

    Joan Didon
    Il Saggiatore, Milano, 2022

    A un anno dalla scomparsa di Joan Didion, Il Saggiatore pubblica Perché Scrivo, ultima raccolta di saggi (uscita negli States ...

    A un anno dalla scomparsa di Joan Didion, Il Saggiatore pubblica Perché Scrivo, ultima raccolta di saggi (uscita negli States nel 2021) della scrittrice californiana, celebre per il memoir L’anno del pensiero magico.
    Parlando di Didion, il pubblico dei suoi lettori si divide in due gruppi: quelli che ne amano l’intera produzione e quelli che la considerano una tra le più grandi scrittrici di non fiction del Novecento – ignorando volutamente i suoi romanzi e ritenendoli qualitativamente e per importanza opere minori. Io sto assolutamente coi primi e con un po’ di presunzione mi permetto di suggerirvi di leggere, oltre alle opere più celebri come L’anno del pensiero magico, Blue Nights e The White album – indubbiamente dei capolavori assoluti – anche i romanzi Run River, Prendila così, Miami e Diglielo da parte mia.
    Detto ciò, arriviamo a Perché scrivo… e ci arriviamo dicendo che il saggio Perché scrivo, che dà il titolo all’intera raccolta, è quello che dichiara in maniera esplicita uno dei nuclei tematici più importanti, presente anche in altri testi come Raccontare Storie e Ultime parole. Didion, infatti, qui più che in altre precedenti pubblicazioni di non fiction, parla spesso della sua arte, della «scrittura come soggetto, la scrittura come modo di vita» (Hilton Als, nella prefazione).
    Non mancano però anche saggi dedicati agli Stati Uniti dello scorso secolo, tra cui Pretty Nancy nel quale ci parla di Nancy Regan (quando ancora non era first lady ma «solo» la moglie del Governatore della California) o Raggiungere la serenità dove racconta di un incontro dei Giocatori Anonimi a cui la scrittrice ha preso parte. In questi testi prevale la Joan Didion giornalista sui generis (non a caso è considerata insieme a Capote e Wolf tra gli inventori del new journalism), capace di dare alla prospettiva del narratore – la sua – un’importanza maggiore rispetto alla materia narrata, che ha invece sempre prevalso nel giornalismo «classico». E a tal proposito, un’altra chicca è Alicia e la stampa underground dove Didion ci dice «non fraintendetemi: tengo in grande conto l’obiettività, ma non riesco proprio a capire come possa essere conseguita se il lettore non capisce la parzialità di chi scrive».

    Perché leggerlo? Perché di Didion si dovrebbe leggere tutto, pure le sue liste della spesa se le avessimo! E perché in questa raccolta c’è Sul non essere scelti dall’università di propria scelta, che chiunque – dall’adolescente che si appresta a decidere per il proprio futuro, all’adulto che almeno una volta nella vita ha sperimentato un rifiuto da parte di qualche istituzione scolastica o lavorativa – dovrebbe leggere.

    Una citazione dal libro: «E ovviamente nessuna di queste cose conta davvero, nessuno di quei primi successi, di quei primi fallimenti. Mi chiedo se non sarebbe meglio trovare un modo di farlo capire ai nostri figli, un modo per districare le nostre speranze dalle loro, per far gestire a loro i rifiuti, le ribellioni astiose e gli intermezzi con i professionisti del golf, senza l’aiuto di suggeritori ansiogeni dagli spalti. Trovare il proprio ruolo a diciassette anni è già un problema, anche senza che ci venga consegnato il copione di qualcun altro».

    Nicolò S. Centemero
    Newsletter 36 - Gennaio 2022

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  • 35-9
    Storia delle prime volte

    Stiliana Milkova
    Voland, Roma, 2022

    Se c’è una cosa che mi ha sempre affascinato è come alcuni scrittori siano così capaci di dominare la parola da riuscire a ...

    Se c’è una cosa che mi ha sempre affascinato è come alcuni scrittori siano così capaci di dominare la parola da riuscire a portare a termine opere letterarie di altissima qualità pur non scrivendole nella propria lingua madre (ogni riferimento a Nabokov e Beckett è puramente casuale).
    È il caso anche di quanto fatto da Stiliana Milkova in questo suo esordio, Storia delle prime volte. Milkova, infatti, pur essendo nata e cresciuta in Bulgaria e pur vivendo attualmente negli Stati Uniti dove insegna ed è una tra le maggiori studiose di Elena Ferrante, ha deciso di scrivere questo suo primo libro di narrativa in italiano, lingua dei suoi studi e delle sue ricerche.
    Venendo al testo, Storia delle prime volte è una raccolta di dieci racconti di lunghezza differente, che, come scrive Demetrio Paolin su la Lettura del Corriere della Sera «nasce dalla letteratura e si nutre di essa». Protagonisti, infatti, sono scrittori, stagisti, editori, caporedattori, attori, filologi, lettori, studenti universitari e dottorandi che nelle varie storie, tutte indipendenti tra loro, si dipanano tra amori, partenze, viaggi e addi, dipingendoci un universo professionale, quello letterario, estremamente reale e realistico.
    Sempre Paolin su la Lettura individua uno dei nuclei tematici che tiene insieme tutti i racconti, ovvero quello dello «sradicamento». Senza dubbio, nei personaggi di Milkova ci ritroviamo esperienze vissute in prima persona dalla scrittrice, la cui vita di studiosa lontana dalla patria d’origine, se da un lato le ha permesso di vivere esperienze estremamente arricchenti e interessanti, dall’altro l’ha anche costretta alla solitudine delle stazioni ferroviarie, degli appartamenti in affitto, delle cene nei ristoranti… di tutte quelle cose che ci tengono lontani dall’appartenenza, lontani dalle nostre radici.

    Perché leggerlo? Perché, oltre a molti Stati Uniti, c’è anche molta Italia in Storia delle prime volte. Consiglio, in particolare, La Lucina, ambientato sopra i tetti di Torino – a mio avviso il racconto più particolare e riuscito di questa bella raccolta.

    Una citazione dal libro: «Sedevo a un tavolo in fondo. Il ristorante – una piccola trattoria nel quartiere di San Lorenzo – era vuoto tranne che per due donne vicino alla finestra spalancata e un uomo al tavolo accanto al loro. Quando abito all’estero mi piace cenare da sola – mi dà tempo per riflettere, per osservare. Mi fa sentire più immersa nella corsa del mondo, più viva».

    Federica Merlo
    Newsletter 35 - Dicembre 2022

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  • 35-10
    La stella del mattino

    Karl Ove Knausgård
    Feltrinelli, Milano, 2022

    Considerato il Proust contemporaneo per aver scritto La mia lotta, una sua autobiografia romanzata in sei volumi, ...

    Considerato il Proust contemporaneo per aver scritto La mia lotta, una sua autobiografia romanzata in sei volumi, Karl Ove Knausgaard – insieme a Jon Fosse (la recensione di un suo romanzo qui), di cui fu allievo – è attualmente lo scrittore norvegese più celebre. La stella del mattino, che in patria uscì nel 2020 e da noi è arrivato recentemente, segna il ritorno di Knausgaard alla fiction, con la quale iniziò la sua carriera.
    Siamo di fronte a un romanzo massimalista e polifonico, ambientato nella Norvegia contemporanea, nelle cui 666 pagine (il numero non è casuale!) seguiamo le vicende di nove personaggi. C’è il giornalista di cronaca passato alla cultura, c’è una pastora luterana, un’infermiera di sala operatoria… insomma, c’è una normale routine di vite borghesi che affrontano i loro piccoli e grandi problemi quotidiani. Tuttavia, a un certo punto, compare un elemento di turbamento «esterno»: la stella del titolo che, brillantissima nel cielo, diventa per tutti, sin da subito, un fenomeno misterioso, mai visto e inspiegabile. Molteplici nel romanzo i riferimenti biblici (la stella è Lucifero? È il segnale dell’Apocalisse?) e gli episodi soprannaturali, così come sempre presente nel lettore è la tensione per qualcosa di imminente che sta per accadere.
    A livello di scrittura ritroviamo, anche nella forma romanzo, una prosa elevata ma mai complessa e quel gusto per il dettaglio e per l’ordinario che lo scrittore norvegese aveva già dimostrato nei sei volumi de La mia lotta e nel suo successivo quartetto delle stagioni (tutti editi in Italia per Feltrinelli e consigliatissimi).

    Perché leggerlo? Perché oltre ad essere uno dei cinque-sei titoli più interessanti usciti quest’anno contiene anche un sacco di musica – qui ho provato a raccogliere un po’ dei pezzi citati.

    Una citazione dal libro: «La luce non stava riempiendo il giardino, pensai, era il contrario, lo stava svuotando. Del buio, ma anche di significato. Il vuoto presente nel mondo. Ma sapevo anche che il mio modo di pensare era sbagliato. Il significato era qualcosa che veniva da noi stessi. Il significato era qualcosa che noi davamo al mondo, non che ricevevamo da esso».

    Federica Merlo
    Newsletter 35 - Dicembre 2022

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Federica Merlo

Ricerca e documentazione

Educatrice. Svolge la sua attività clinica presso l’unità minorenni dell’OTAF e la sua attività di ricerca presso l’Istituto di Salute Pubblica della Facoltà di Scienze biomediche (USI). È collaboratrice della Fondazione Sasso Corbaro dal 2014.

Ha concluso un Bachelor in Lavoro Sociale e un MAS in Etica Clinica e Medical Humanities della SUPSI. Attualmente sta concludendo il quinto anno di Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano.

Contatti: federica.merlo@sasso-corbaro.ch