Una ricerca sul tema della cura nel mondo dell’arte,
perché curare è un’arte e l’arte può essere cura.
- Nightwalks
Edward Hopper, 1942
olio su tela, The Art Institute of Chicago, USAHopper è un maestro della pittura americana della prima metà del XX secolo, e forse questo è il suo capolavoro più assoluto. E tra tutte le opere che ha dipinto con la luce del giorno, la sua arte tocca l’apice in una desolata notte americana del 1942. La luce è quella artificiale che dalla vetrina del locale si riflette sulla strada, permettendoci di vedere i protagonisti di quella notte: un uomo solo, una coppia e il barista. L’uomo solo, forse lì per dimenticare la giornata, per curarsi le ferite che le ore diurne gli hanno inflitto, sta di spalle e ...
Hopper è un maestro della pittura americana della prima metà del XX secolo, e forse questo è il suo capolavoro più assoluto. E tra tutte le opere che ha dipinto con la luce del giorno, la sua arte tocca l’apice in una desolata notte americana del 1942. La luce è quella artificiale che dalla vetrina del locale si riflette sulla strada, permettendoci di vedere i protagonisti di quella notte: un uomo solo, una coppia e il barista. L’uomo solo, forse lì per dimenticare la giornata, per curarsi le ferite che le ore diurne gli hanno inflitto, sta di spalle e non ne cogliamo lo sguardo. Vediamo invece la coppia: lui e lei. Non sappiamo se una coppia formatasi per un incrocio di destini proprio lì, o se sono arrivati per curare la monotonia del loro rapporto. Non si guardano, vicini, ma entrambi assorti nei loro pensieri, cercando di scioglierli nelle tazze di caffè.
Poi c’è il barman, che dispensa agli avventori attenzioni, coglie i bisogni, se ne prende cura. Il camicie bianco lo avvicina a un infermiere in corsia. Allora la vetrina di un bar diventa quasi una di quelle finestre d’ospedale che di notte si vedono illuminate, dove c’è un dolore da curare, una vita da ripensare, una cura da elargire. Hopper coglie tutta la forza di una finestra illuminata nella notte, della vita che vi scorre dentro. Una luce che ancora non si spegne finchè c’è da prendersi cura del corpo, dell’anima, dell’uomo.
Ottobre 2020, Newsletter 9
Continua a leggereChiudi - Semplice
Vaslij Kandinskij, 1916
acquarello, Centre G. Pompidou, ParigiQuesto acquarello di Kandinskij potrebbe benissimo accompagnare l’attesa in una sala d’aspetto dal medico, o fare da sfondo proprio durante una consultazione specialistica in studio.
L’astratto sembra quasi uno stile che ben si sposa ai luoghi di cura. Di questo genere di opere Kandinskij ne ha prodotte tante nella sua carriera, chiamandole molte volte soltanto Composizione numero...; e allora perché questo e non un altro? Proprio per il titolo: “Semplice”.
Eppure in questa semplicità c’è tutto: ci sono i colori primari, e i loro complementari. Ci sono le righe nette e le sfumate, linee dritte e curve, spesse e sottili, incrociate con ...
Questo acquarello di Kandinskij potrebbe benissimo accompagnare l’attesa in una sala d’aspetto dal medico, o fare da sfondo proprio durante una consultazione specialistica in studio.
L’astratto sembra quasi uno stile che ben si sposa ai luoghi di cura. Di questo genere di opere Kandinskij ne ha prodotte tante nella sua carriera, chiamandole molte volte soltanto Composizione numero...; e allora perché questo e non un altro? Proprio per il titolo: “Semplice”.
Eppure in questa semplicità c’è tutto: ci sono i colori primari, e i loro complementari. Ci sono le righe nette e le sfumate, linee dritte e curve, spesse e sottili, incrociate con armonia ed equilibrio. Ci sono forme quasi ancestrali, l’alternanza tra pieni e vuoti. Una semplicità disarmante, ma allo stesso tempo completa.
Che cos’è il gesto di cura se non un gesto semplice, ma che racchiude, in modo completo, la complessità dell’essere e dell’agire umano?
Settembre 2020, Newsletter 8
Continua a leggereChiudi - Il cortile dell’Ospedale di Arles
Vincent Van Gogh, 1889
olio su tela, collezione Oskar Reinhart (Winterthur).Il ricovero: periodo difficile, periodo di malinconie e pensieri. Dove ci si può sentire prigionieri, a volte della struttura, a volte di noi stessi.
In ques’opera Van Gogh rappresenta il cortile dell'Hotel-Dieu, l'antico ospedale di Arles, dove l’artista olandese era ricoverato tra il dicembre 1888 al maggio 1889 dopo il famoso taglio dell'orecchio. Se il periodo provenzale di Van Gogh è sempre stato contraddistinto da colori caldi e lussureggianti, in quest’opera l’artista fa trasparire tutta la mestizia del suo vissuto attraverso l’utilizzo di una tavolozza fredda, con molte tonalità di blu. Inoltre lo scorcio prospettico cosi forzato evidenzia il senso di ...
Il ricovero: periodo difficile, periodo di malinconie e pensieri. Dove ci si può sentire prigionieri, a volte della struttura, a volte di noi stessi.
In ques’opera Van Gogh rappresenta il cortile dell'Hotel-Dieu, l'antico ospedale di Arles, dove l’artista olandese era ricoverato tra il dicembre 1888 al maggio 1889 dopo il famoso taglio dell'orecchio. Se il periodo provenzale di Van Gogh è sempre stato contraddistinto da colori caldi e lussureggianti, in quest’opera l’artista fa trasparire tutta la mestizia del suo vissuto attraverso l’utilizzo di una tavolozza fredda, con molte tonalità di blu. Inoltre lo scorcio prospettico cosi forzato evidenzia il senso di oppressione, e di clausura provata in quel periodo. Siamo nei primi mesi dell’anno, e i colori accesi della struttura ospedaliera quasi stridono con le tonalità spente della natura spoglia e decadente. Non è quindi la struttura in sé che rende Van Gogh cosi malinconico, ma tutto quello che ci sta attorno e che quella struttura rappresenta.
Agosto 2020, Newsletter 7
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