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Curare ad arte

Una ricerca sul tema della cura nel mondo dell’arte,
perché curare è un’arte e l’arte può essere cura.

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    Autoritratto

    Francisco De Goya
    1819, olio su tela

    Questo autoritratto del 1819, raffigura Goya seduto e sofferente per un grave scompenso cardiaco, assistito da un medico che lo sorregge e che gli porge un bicchiere, forse con un oppiaceo, per quietargli la dispnea. Sullo sfondo scuro, in penombra, alcune figure funerarie appena accennate, forse donne, assimilabili alle Parche greche, pronte a tagliare il filo della vita dell’artista.

    Francisco de Goya, morto solo nel 1828, supererà la crisi e per commossa riconoscenza al suo amico medico, Dr.Arrieta, gli dedicherà un anno dopo questo dipinto, come riportata nell’iscrizione autografa, nella parte inferiore della tela. La cardiopatia dell’artista, così come la nota sordità, accopagneranno Goya per buona parte della sua vita, trovando nel medico/amico, una figura non solo curante sotto l’aspetto prettamente medico, ma anche come persona vicina. Il dipinto stesso rappresenta il legame indissolubile tra medico e paziente, nel momento estremo tra la vita e la morte, su quella linea instabile che si percorre durante la cura.

    Newsletter #69 - Ottobre 2025

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    Questo autoritratto del 1819, raffigura Goya seduto e sofferente per un grave scompenso cardiaco, assistito da un medico che lo sorregge e che gli porge un bicchiere, forse con un oppiaceo, per quietargli la dispnea. Sullo sfondo scuro, in penombra, alcune figure funerarie appena accennate, forse donne, assimilabili alle Parche greche, pronte a tagliare il filo della vita dell’artista.

    Francisco de Goya, morto solo nel 1828, supererà la crisi e per commossa riconoscenza al suo amico medico, Dr.Arrieta, gli dedicherà un anno dopo questo dipinto, come riportata nell’iscrizione autografa, nella parte inferiore della tela. La cardiopatia dell’artista, così come la nota sordità, accopagneranno Goya per buona parte della sua vita, trovando nel medico/amico, una figura non solo curante sotto l’aspetto prettamente medico, ma anche come persona vicina. Il dipinto stesso rappresenta il legame indissolubile tra medico e paziente, nel momento estremo tra la vita e la morte, su quella linea instabile che si percorre durante la cura.

    Newsletter #69 - Ottobre 2025

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  • Immagine1
    Dama in maschera

    Marco Rindori
    2015, olio su tela

    La famosa Dama con l’Ermellino di Leonardo Da Vinci, ha conosciuto questa simpatica rivisitazione, a cura di Marco Rindori, artista contemporaneo, nell’ambito del Progetto “Abbi Cura du Te, sei un’opera d’Arte.” L’idea è semplice: opere iconiche, capolavori senza tempo riconoscibili in modo diffuso, sono state riprodotte ad arte “contaminandole” con dispositivi di protezione individuale di qualità riconosciuta. Questo per sensibilizzare sulla cura di sé in ambito lavorativo e privato.

    In questo caso la Dama sembra volgersi come se stesse osservando qualcuno sopraggiungente nella stanza, e anche l’ermellino volge Io sguardo nella stessa direzione. Donna ed Ermellino sembrano inseparabili ma quello che sembra essere un amorevole rapporto tra uomo e animale si manifesta come una sottile tortura. Di più, il contatto con il pelo candido dell’Ermellino crea con I’andar del tempo una specie di allergia, che sciupa il bel volto della Dama e ne compromette la salute. L’artista Rindori ha allora “aperto” delle finestre nel quadro originale per dare aria all’ambiente e ha fatto indossare una maschera FFP3, che ha cosi trasformato La Dama con l’Ermellino  nella “Dama in Maschera”.  Dispositivi e gesti di cura che a volte riteniamo ingombranti o invadenti nel nostro quotidiano, ma che ci permettono di viverlo appieno.

    Newsletter #66 - Luglio 2025

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    La famosa Dama con l’Ermellino di Leonardo Da Vinci, ha conosciuto questa simpatica rivisitazione, a cura di Marco Rindori, artista contemporaneo, nell’ambito del Progetto “Abbi Cura du Te, sei un’opera d’Arte.” L’idea è semplice: opere iconiche, capolavori senza tempo riconoscibili in modo diffuso, sono state riprodotte ad arte “contaminandole” con dispositivi di protezione individuale di qualità riconosciuta. Questo per sensibilizzare sulla cura di sé in ambito lavorativo e privato.

    In questo caso la Dama sembra volgersi come se stesse osservando qualcuno sopraggiungente nella stanza, e anche l’ermellino volge Io sguardo nella stessa direzione. Donna ed Ermellino sembrano inseparabili ma quello che sembra essere un amorevole rapporto tra uomo e animale si manifesta come una sottile tortura. Di più, il contatto con il pelo candido dell’Ermellino crea con I’andar del tempo una specie di allergia, che sciupa il bel volto della Dama e ne compromette la salute. L’artista Rindori ha allora “aperto” delle finestre nel quadro originale per dare aria all’ambiente e ha fatto indossare una maschera FFP3, che ha cosi trasformato La Dama con l’Ermellino  nella “Dama in Maschera”.  Dispositivi e gesti di cura che a volte riteniamo ingombranti o invadenti nel nostro quotidiano, ma che ci permettono di viverlo appieno.

    Newsletter #66 - Luglio 2025

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  • ijnwc
    La consegna delle chiavi

    Pietro Perugino
    1481-82, affresco
    Cappella Sistina, Città del Vaticano

    Una visione prospettiva accademica e magistrale fa da cornice a questa scena mai accaduta nella realtà, ma molto carica di significati simbolici, anche per quanto riguarda il tema della Cura.

    Quello che a noi interessa è il gesto che viene raffigurato: la consegna delle chiavi del Paradiso, e quindi della fede nella Chiesa cattolica, da parte di Gesù verso Pietro. Un gesto che racchiude un passaggio, ma anche molta fiducia. Il divino che affida ad un uomo ciò che ha creato, il proprio messaggio e la propria Chiesa, intesa come comunità. Un gesto che affida all’altro la Cura di qualcosa a lui caro, un gesto di fiducia come dicevamo.

    La Cura per qualcosa che ci è stato affidato è forse il modo più nobile che abbiamo per premiare la fiudcia che gli altri riongono in noi stessi. A nostra volta, quando diamo in cura qualcosa o dobbiamo affidarci a qualcuno per la cura nostra o dei nostri cari, è un gesto di grande fiducia. Non deve abitarci la rassegnazione nel chiedere a qualcuno di prendersi cura di noi o dei nostri famigliari, semplicemente è la consapevolezza che a un certo punto bisogna sapersi affidare all’altro.

    Tutto questo è alla base del rapporto curato-curante, un passaggio che racchiude coraggio, fiducia, ma anche consapevolezza e riconoscimento.

    Newsletter #64 - Maggio 2025

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    Una visione prospettiva accademica e magistrale fa da cornice a questa scena mai accaduta nella realtà, ma molto carica di significati simbolici, anche per quanto riguarda il tema della Cura.

    Quello che a noi interessa è il gesto che viene raffigurato: la consegna delle chiavi del Paradiso, e quindi della fede nella Chiesa cattolica, da parte di Gesù verso Pietro. Un gesto che racchiude un passaggio, ma anche molta fiducia. Il divino che affida ad un uomo ciò che ha creato, il proprio messaggio e la propria Chiesa, intesa come comunità. Un gesto che affida all’altro la Cura di qualcosa a lui caro, un gesto di fiducia come dicevamo.

    La Cura per qualcosa che ci è stato affidato è forse il modo più nobile che abbiamo per premiare la fiudcia che gli altri riongono in noi stessi. A nostra volta, quando diamo in cura qualcosa o dobbiamo affidarci a qualcuno per la cura nostra o dei nostri cari, è un gesto di grande fiducia. Non deve abitarci la rassegnazione nel chiedere a qualcuno di prendersi cura di noi o dei nostri famigliari, semplicemente è la consapevolezza che a un certo punto bisogna sapersi affidare all’altro.

    Tutto questo è alla base del rapporto curato-curante, un passaggio che racchiude coraggio, fiducia, ma anche consapevolezza e riconoscimento.

    Newsletter #64 - Maggio 2025

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  • 62-1
    L’assenzio

    Edgar Degas
    Olio su tela, 1875
    Musée d’Orsay, Parigi

    Edgar Degas si distingue nella corrente impressionista per la su capacità di ritrarre in maniera impietosa e realistica la società a lui contemporanea. Di questa visione della realtà disincantata e disincantevole L'assenzio è un esempio emblematico.

    Protagonisti sono due persone provate dalla vita: lei, prostituta abbigliata in modo pateticamente lussuoso, mentre lui è un corpulento barbone parigino, dall'aria burbera, sanguigna ma immensamente volgare.

    Personaggi di un’umanità vuota, ferma nel tempo e nello spazio, fredda come il marmo dei tavolini del cafè. Pur essendo seduti uno accanto all'altro, i personaggi sembrano lontanissimi fra loro, con lo sguardo perso nel vuoto, annebbiato dalla moltitudine di tristi pensieri che si affollano nelle loro menti, abbruttite dai tristi trascorsi biografici e dall'alcol. Rappresentano due solitudini che non si incontrano, nemmeno con lo sguardo.

    In questa rubrica abbiamo cercato in questi anni di individuare il concetto di Cura e la rappresentazione di esso nelle opere che abbiamo analizzato. Questa volta la scelta cade su un’opera da dove trasuda nella sua gravità l’assenza della Cura. Non c’è quel contatto umano che racchiude il processo curativo, non vi è interazione tra i soggetti, che anzi tendono ad autodistruggersi nell’incapacità di prendersi cura di sé o di chi gli sta vicino.  La Cura, nella sua assenza, si eleva come un grido tra e pieghe della miseria umana e Degas, nel suo ritratto impietoso, sa mettere in luce anche quello che non c’è.

    Newsletter #62 - Marzo 2025

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    Edgar Degas si distingue nella corrente impressionista per la su capacità di ritrarre in maniera impietosa e realistica la società a lui contemporanea. Di questa visione della realtà disincantata e disincantevole L'assenzio è un esempio emblematico.

    Protagonisti sono due persone provate dalla vita: lei, prostituta abbigliata in modo pateticamente lussuoso, mentre lui è un corpulento barbone parigino, dall'aria burbera, sanguigna ma immensamente volgare.

    Personaggi di un’umanità vuota, ferma nel tempo e nello spazio, fredda come il marmo dei tavolini del cafè. Pur essendo seduti uno accanto all'altro, i personaggi sembrano lontanissimi fra loro, con lo sguardo perso nel vuoto, annebbiato dalla moltitudine di tristi pensieri che si affollano nelle loro menti, abbruttite dai tristi trascorsi biografici e dall'alcol. Rappresentano due solitudini che non si incontrano, nemmeno con lo sguardo.

    In questa rubrica abbiamo cercato in questi anni di individuare il concetto di Cura e la rappresentazione di esso nelle opere che abbiamo analizzato. Questa volta la scelta cade su un’opera da dove trasuda nella sua gravità l’assenza della Cura. Non c’è quel contatto umano che racchiude il processo curativo, non vi è interazione tra i soggetti, che anzi tendono ad autodistruggersi nell’incapacità di prendersi cura di sé o di chi gli sta vicino.  La Cura, nella sua assenza, si eleva come un grido tra e pieghe della miseria umana e Degas, nel suo ritratto impietoso, sa mettere in luce anche quello che non c’è.

    Newsletter #62 - Marzo 2025

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    La Gioconda

    Leonardo Da Vinci
    1503-1506
    Museo del Louvre, Parigi

    Opera iconica, simbolo della pittura mondiale, si tratta sicuramente del ritratto più celebre della storia nonché di una delle opere d'arte più note in assoluto. La Gioconda di Leonardo è qualcosa che va al di là dell’arte e della pittura, è un testimonial, un patrimonio umano unico nel suo genere. Il sorriso quasi impercettibile del soggetto, col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, letteratura, opere di immaginazione e persino studi psicoanalitici. Voleva partire da qui la connessione con il mondo della Cura: la terapia del sorriso, del ridere, con tutti i suoi studi sul rilascio di serotonina e in seconda battuta della melatonina con tutti i benefici che questi ormoni hanno sul nostro vivere quotidiano.

    Un altro aspetto però si è insinuato durante la stesura di questo testo, ovvero il rapporto che Leonardo ha instaurato con quest’opera. Un quadro come detto unico nel suo genere, ma che dai recenti studi del secolo scorso risulta una realizzazione laboriosa, ripensata, ridefinita più e più volte. Quella del ripensamento non è pratica rara per Leonardo, anzi, ne era un tratto distintivo del suo agire e fare pittura, ma quello che incuriosisce è poi il seguito della relazione tra Leonardo e la Gioconda. Trattandosi di un ritratto commissionato da Francesco del Giocondo che vede come soggetto la moglie Lisa (Monna Lisa), ci si sarebbe aspettato che avvenisse prima o poi una consegna ai committenti. Il quadro invece rimane con Leonardo, che se lo porta con sé nei suoi viaggi, passando per Milano e infine alla corte del Re di Francia, Francesco. Leonardo non se ne separerà mai, lasciandola solo in punto di morte al monarca francese, come per non lasciare sola un’amica che ha tenuto gelosamente vicino a sé. Sarà stato quello sguardo che non ti lascia mai o la terapia del sorriso che ancora non era stata teorizzata, ma mi piace immaginare come la Gioconda, a suo modo, si sia presa cura di Leonardo, in silenzio, sorridendo.

    Newsletter #60 - Gennaio 2025

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    Opera iconica, simbolo della pittura mondiale, si tratta sicuramente del ritratto più celebre della storia nonché di una delle opere d'arte più note in assoluto. La Gioconda di Leonardo è qualcosa che va al di là dell’arte e della pittura, è un testimonial, un patrimonio umano unico nel suo genere. Il sorriso quasi impercettibile del soggetto, col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, letteratura, opere di immaginazione e persino studi psicoanalitici. Voleva partire da qui la connessione con il mondo della Cura: la terapia del sorriso, del ridere, con tutti i suoi studi sul rilascio di serotonina e in seconda battuta della melatonina con tutti i benefici che questi ormoni hanno sul nostro vivere quotidiano.

    Un altro aspetto però si è insinuato durante la stesura di questo testo, ovvero il rapporto che Leonardo ha instaurato con quest’opera. Un quadro come detto unico nel suo genere, ma che dai recenti studi del secolo scorso risulta una realizzazione laboriosa, ripensata, ridefinita più e più volte. Quella del ripensamento non è pratica rara per Leonardo, anzi, ne era un tratto distintivo del suo agire e fare pittura, ma quello che incuriosisce è poi il seguito della relazione tra Leonardo e la Gioconda. Trattandosi di un ritratto commissionato da Francesco del Giocondo che vede come soggetto la moglie Lisa (Monna Lisa), ci si sarebbe aspettato che avvenisse prima o poi una consegna ai committenti. Il quadro invece rimane con Leonardo, che se lo porta con sé nei suoi viaggi, passando per Milano e infine alla corte del Re di Francia, Francesco. Leonardo non se ne separerà mai, lasciandola solo in punto di morte al monarca francese, come per non lasciare sola un’amica che ha tenuto gelosamente vicino a sé. Sarà stato quello sguardo che non ti lascia mai o la terapia del sorriso che ancora non era stata teorizzata, ma mi piace immaginare come la Gioconda, a suo modo, si sia presa cura di Leonardo, in silenzio, sorridendo.

    Newsletter #60 - Gennaio 2025

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  • 59-1
    La gazza

    Claude Monet
    1868/69, olio su tela
    Musée d’Orsay, Parigi

    La genuinità della pittura impressionista fu una boccata d’aria fresca alle serre calde e sterili dell'arte fatta fino ad allora. Fu infatti a partire da Monet che l'Arte iniziò a rifuggire dall'artificiosità degli atelier e dei temi storici e mitologici, preferendo l'azione dei raggi luminosi sulla materia, riproducendone sulla tela, attraverso rapidi tocchi virgolati di pennello, il brulicante scintillio. Di questa irrefrenabile raccolta di energie e luci della natura operata da Monet La gazza - realizzato all'aria aperta, o en plein air, in gergo tecnico - costituisce certamente uno dei primissimi esempi.

    L’impressionismo è stato la svolta che ha dato alla Storia dell’Arte la forza per reinventarsi, dopo anni di immobilismo riguardo temi e tecniche.  Una sorta di cura per l’arte e Monet il suo medico: quel curante che entra nella stanza del malato e per prima cosa discosta le tende e apre la finestra per far cambiare l’aria e far entrare la luce naturale. Le opere di Monet, e di tutti gli impressionisti poi, sono quella finestra aperta, che ha dato alla Storia dell’Arte quella ventata di aria fresca per risollevarsi dal letto di classicismo e artificio su cui si era ormai adagiata da tempo.

    Le feste che la fine dell’anno porta con sé sono alle volte costruzioni artificiose fatte di neve finta e abeti amputati racchiuse in casa tra banchetti e cenoni sfavillanti che ricordano però le nature morte riprodotte nei vecchi atelier. Lasciate che in queste festività la natura, la sua luce e la sua energia, accompagnino i momenti di affettuosa e gioiosa compagnia (sperando che quella non sia artificiosa) dando di quest’ultimi un’impressione diversa e quindi anche un nuovo senso.

    Buone feste.

    Newsletter #59 - Dicembre 2024

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    La genuinità della pittura impressionista fu una boccata d’aria fresca alle serre calde e sterili dell'arte fatta fino ad allora. Fu infatti a partire da Monet che l'Arte iniziò a rifuggire dall'artificiosità degli atelier e dei temi storici e mitologici, preferendo l'azione dei raggi luminosi sulla materia, riproducendone sulla tela, attraverso rapidi tocchi virgolati di pennello, il brulicante scintillio. Di questa irrefrenabile raccolta di energie e luci della natura operata da Monet La gazza - realizzato all'aria aperta, o en plein air, in gergo tecnico - costituisce certamente uno dei primissimi esempi.

    L’impressionismo è stato la svolta che ha dato alla Storia dell’Arte la forza per reinventarsi, dopo anni di immobilismo riguardo temi e tecniche.  Una sorta di cura per l’arte e Monet il suo medico: quel curante che entra nella stanza del malato e per prima cosa discosta le tende e apre la finestra per far cambiare l’aria e far entrare la luce naturale. Le opere di Monet, e di tutti gli impressionisti poi, sono quella finestra aperta, che ha dato alla Storia dell’Arte quella ventata di aria fresca per risollevarsi dal letto di classicismo e artificio su cui si era ormai adagiata da tempo.

    Le feste che la fine dell’anno porta con sé sono alle volte costruzioni artificiose fatte di neve finta e abeti amputati racchiuse in casa tra banchetti e cenoni sfavillanti che ricordano però le nature morte riprodotte nei vecchi atelier. Lasciate che in queste festività la natura, la sua luce e la sua energia, accompagnino i momenti di affettuosa e gioiosa compagnia (sperando che quella non sia artificiosa) dando di quest’ultimi un’impressione diversa e quindi anche un nuovo senso.

    Buone feste.

    Newsletter #59 - Dicembre 2024

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  • Immagine1
    Rispa che protegge i figli

    Spartaco Vela
    olio su tela, 1881
    Museo Vincenzo Vela, Ligornetto

    Nella Bibbia la storia di Rispa è marginale. Concubina di Re Saul, dovette assistere alla morte dei due figli tramite crocefissione una volta terminato il suo regno. Per mesi però Rispa vegliò e protesse i corpi dei suoi figli fino a quando Re Davide non gli avesse garantito degna sepoltura.

    Rispa dunque ci fa tornare a una delle figure che già abbiamo incontrato nella nostra rubrica, quella del famigliare curante. Con Rispa tocchiamo però la dimensione della cura dopo la morte, la cura della memoria e della dignità. Ci ricorda come anche il corpo più malato, devastato dalla malattia o dalla morte è involucro di una persona, di uno spirito vivente, di sentimenti; testimone concreto di una vita. Una testimonianza di cui è necessario che qualcuno si prenda cura. Anche difendere i diritti di chi ci si prende cura è un atto curante di per sé.

    In quest’opera Spartaco Vela ritrae Rispa proprio in un momento di raccoglimento, un momento senza nessuna azione attiva, assorta nei suoi pensieri, eppure se ne prende cura.

    La cura non è solo azione, ma è anche pensiero, memoria, resistenza e resilienza. La Rispa del Vela incarna tutto questo, la cura senza azione, la cura della memoria e della dignità.

    Newsletter #58 - Novembre 2024

    ...

    Nella Bibbia la storia di Rispa è marginale. Concubina di Re Saul, dovette assistere alla morte dei due figli tramite crocefissione una volta terminato il suo regno. Per mesi però Rispa vegliò e protesse i corpi dei suoi figli fino a quando Re Davide non gli avesse garantito degna sepoltura.

    Rispa dunque ci fa tornare a una delle figure che già abbiamo incontrato nella nostra rubrica, quella del famigliare curante. Con Rispa tocchiamo però la dimensione della cura dopo la morte, la cura della memoria e della dignità. Ci ricorda come anche il corpo più malato, devastato dalla malattia o dalla morte è involucro di una persona, di uno spirito vivente, di sentimenti; testimone concreto di una vita. Una testimonianza di cui è necessario che qualcuno si prenda cura. Anche difendere i diritti di chi ci si prende cura è un atto curante di per sé.

    In quest’opera Spartaco Vela ritrae Rispa proprio in un momento di raccoglimento, un momento senza nessuna azione attiva, assorta nei suoi pensieri, eppure se ne prende cura.

    La cura non è solo azione, ma è anche pensiero, memoria, resistenza e resilienza. La Rispa del Vela incarna tutto questo, la cura senza azione, la cura della memoria e della dignità.

    Newsletter #58 - Novembre 2024

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  • 57-1
    Niki de Saint Phalle

    Nana-Angel
    Stazione di Zurigo, 1997

     

    Catherine Marie-Agnès Fal de Saint Phalle, detta Niki, nacque a Neuilly-sur-Seine il 29 ottobre 1930 da una famiglia aristocratica francese.  Niki avrebbe descritto la sua infanzia come di «privilegio e orrore»: entrambi i genitori erano violenti, e il padre avrebbe anche abusato di lei da quando era undicenne.

    Si sposò a 19 anni, e dopo la nascita della prima figlia si trasferì a Parigi. Ma a 22 anni subì un crollo nervoso, tentò il suicidio e fu ricoverata in una clinica psichiatrica. Fu lì che si avvicinò al mondo dell’arte, un mondo che non avrebbe mai più lasciato.

    La prima Nana è del 1965, un’espressione plastica della figura femminile attraverso cui l’artista cerca di trasmettere la volontà e il bisogno dell’emancipazione femminile. Niki de Saint Phalle, attraverso le sue Nanas ha affrontato il dolore che la sua condizione di femmina sottomessa e violentata aveva portato sull’orlo del baratro, riuscendo a divenire un messaggio di forza e speranza non solo per lei ma per tutte le donne.

    Un altro esempio di come l’arte divenga un mezzo d’espressione della propria cura e della cura verso gli altri.

    Newsletter #57 - Ottobre 2024

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    Catherine Marie-Agnès Fal de Saint Phalle, detta Niki, nacque a Neuilly-sur-Seine il 29 ottobre 1930 da una famiglia aristocratica francese.  Niki avrebbe descritto la sua infanzia come di «privilegio e orrore»: entrambi i genitori erano violenti, e il padre avrebbe anche abusato di lei da quando era undicenne.

    Si sposò a 19 anni, e dopo la nascita della prima figlia si trasferì a Parigi. Ma a 22 anni subì un crollo nervoso, tentò il suicidio e fu ricoverata in una clinica psichiatrica. Fu lì che si avvicinò al mondo dell’arte, un mondo che non avrebbe mai più lasciato.

    La prima Nana è del 1965, un’espressione plastica della figura femminile attraverso cui l’artista cerca di trasmettere la volontà e il bisogno dell’emancipazione femminile. Niki de Saint Phalle, attraverso le sue Nanas ha affrontato il dolore che la sua condizione di femmina sottomessa e violentata aveva portato sull’orlo del baratro, riuscendo a divenire un messaggio di forza e speranza non solo per lei ma per tutte le donne.

    Un altro esempio di come l’arte divenga un mezzo d’espressione della propria cura e della cura verso gli altri.

    Newsletter #57 - Ottobre 2024

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  • 56-3
    Michelangelo Buonarroti

    Firenze, 1530
    Carboncino su parete


    Nel 1530, il grande artista Michelangelo si ritirò in segreto sotto le volte delle Cappelle Medicee, cercando rifugio dalle possibili ritorsioni dei potenti Medici, tornati a Firenze dopo l’esperienza repubblicana. In quel luogo segreto, concepì dei disegni eccezionali destinati a rimanere ignoti per secoli, riscoperti solo nel 1975.

    Un luogo segreto, un luogo sicuro, una sorta di bozzolo dove l’artista non smette di creare, ma anzi abbozza immagina, crea. Un luogo dove, chiuso con se stesso, l’uomo si interroga e cerca di capirsi, curarsi, in quel modo introspettivo che molte volte abbiamo incontrato in questa rubrica, proprio perché l’arte stessa è un veicolo di cura.

    Michelangelo uscirà da questi locali e spiccherà un’ultima volta il volo verso Roma e la corte papale, per dar vita ancora a capolavori come il Giudizio Universale, come una farfalla uscita dal bozzolo.

    Luoghi segreti, intimi, dove rigenerarsi e prendersi cura di se e della propria arte, ma anche per riscoprire l’arte di stare al mondo.

    Newsletter #56 - Settembre 2024

    ...

    Nel 1530, il grande artista Michelangelo si ritirò in segreto sotto le volte delle Cappelle Medicee, cercando rifugio dalle possibili ritorsioni dei potenti Medici, tornati a Firenze dopo l’esperienza repubblicana. In quel luogo segreto, concepì dei disegni eccezionali destinati a rimanere ignoti per secoli, riscoperti solo nel 1975.

    Un luogo segreto, un luogo sicuro, una sorta di bozzolo dove l’artista non smette di creare, ma anzi abbozza immagina, crea. Un luogo dove, chiuso con se stesso, l’uomo si interroga e cerca di capirsi, curarsi, in quel modo introspettivo che molte volte abbiamo incontrato in questa rubrica, proprio perché l’arte stessa è un veicolo di cura.

    Michelangelo uscirà da questi locali e spiccherà un’ultima volta il volo verso Roma e la corte papale, per dar vita ancora a capolavori come il Giudizio Universale, come una farfalla uscita dal bozzolo.

    Luoghi segreti, intimi, dove rigenerarsi e prendersi cura di se e della propria arte, ma anche per riscoprire l’arte di stare al mondo.

    Newsletter #56 - Settembre 2024

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  • 54-3
    Paolo Veronese

    Museo del Louvre, 1563

    Il dipinto illustra il noto episodio contenuto nel Vangelo secondo Giovanni, quello con Gesù che operò miracolosamente la tramutazione dell'acqua in vino durante un matrimonio a Cana. La scena è ricca di particolari e mostra nella sua ambientazione una commistione di dettagli antichi e contemporanei.
    Il pittore colloca l'episodio in uno spazio architettonico d'ispirazione classica, composto da un cortile aperto verso lo spettatore e chiuso a destra e sinistra da due vasti colonnati e sul retro da una zona rialzata cinta da una balaustra. La prospettiva è centrale e lo spazio perfettamente simmetrico, a parte per la torre posta in posizione decentrata. Malgrado l’impostazione porti a focalizzare lo sguardo sulla figura del Cristo, non possiamo non notare che in primo piano e le figure sullo sfondo che definiscono il contro della scena sono servitori. Gente che versa da bere, suona, cucina e trasporta cibi e vivande. Personaggi anonimi, ma fondamentali alla riuscita della scena. Persone che si prendono cura degli astanti, che tutto funzioni al meglio e che la festa riesca. Una messa a servizio incondizionata e totale. Cosa sarebbe questa scena togliendo le persone che si prendono cura della tavolata. Esisterebbero i momenti belli della vita se non ci fosse chi, nel tragitto esistenziale, ci supportasse e si prendesse cura silenziosamente di noi?
    Citando una frase da “La vita è bella” di Roberto Benigni: “Ricorda, Dio è il primo servitore”. Forse per questo, al centro dell’immagine, ci sta il Cristo, incorniciato tra chi serve e chi cura.

    Newsletter #54 - Luglio 2024

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    Il dipinto illustra il noto episodio contenuto nel Vangelo secondo Giovanni, quello con Gesù che operò miracolosamente la tramutazione dell'acqua in vino durante un matrimonio a Cana. La scena è ricca di particolari e mostra nella sua ambientazione una commistione di dettagli antichi e contemporanei.
    Il pittore colloca l'episodio in uno spazio architettonico d'ispirazione classica, composto da un cortile aperto verso lo spettatore e chiuso a destra e sinistra da due vasti colonnati e sul retro da una zona rialzata cinta da una balaustra. La prospettiva è centrale e lo spazio perfettamente simmetrico, a parte per la torre posta in posizione decentrata. Malgrado l’impostazione porti a focalizzare lo sguardo sulla figura del Cristo, non possiamo non notare che in primo piano e le figure sullo sfondo che definiscono il contro della scena sono servitori. Gente che versa da bere, suona, cucina e trasporta cibi e vivande. Personaggi anonimi, ma fondamentali alla riuscita della scena. Persone che si prendono cura degli astanti, che tutto funzioni al meglio e che la festa riesca. Una messa a servizio incondizionata e totale. Cosa sarebbe questa scena togliendo le persone che si prendono cura della tavolata. Esisterebbero i momenti belli della vita se non ci fosse chi, nel tragitto esistenziale, ci supportasse e si prendesse cura silenziosamente di noi?
    Citando una frase da “La vita è bella” di Roberto Benigni: “Ricorda, Dio è il primo servitore”. Forse per questo, al centro dell’immagine, ci sta il Cristo, incorniciato tra chi serve e chi cura.

    Newsletter #54 - Luglio 2024

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