Una ricerca sul tema della cura nel mondo dell’arte,
perché curare è un’arte e l’arte può essere cura.
- La Gioconda
Leonardo Da Vinci
1503-1506
Museo del Louvre, ParigiOpera iconica, simbolo della pittura mondiale, si tratta sicuramente del ritratto più celebre della storia nonché di una delle opere d'arte più note in assoluto. La Gioconda di Leonardo è qualcosa che va al di là dell’arte e della pittura, è un testimonial, un patrimonio umano unico nel suo genere. Il sorriso quasi impercettibile del soggetto, col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, letteratura, opere di immaginazione e persino studi psicoanalitici. Voleva partire da qui la connessione con il mondo della Cura: la terapia del sorriso, del ridere, con tutti i suoi studi sul rilascio di serotonina e in seconda battuta della melatonina con tutti i benefici che questi ormoni hanno sul nostro vivere quotidiano.
Un altro aspetto però si è insinuato durante la stesura di questo testo, ovvero il rapporto che Leonardo ha instaurato con quest’opera. Un quadro come detto unico nel suo genere, ma che dai recenti studi del secolo scorso risulta una realizzazione laboriosa, ripensata, ridefinita più e più volte. Quella del ripensamento non è pratica rara per Leonardo, anzi, ne era un tratto distintivo del suo agire e fare pittura, ma quello che incuriosisce è poi il seguito della relazione tra Leonardo e la Gioconda. Trattandosi di un ritratto commissionato da Francesco del Giocondo che vede come soggetto la moglie Lisa (Monna Lisa), ci si sarebbe aspettato che avvenisse prima o poi una consegna ai committenti. Il quadro invece rimane con Leonardo, che se lo porta con sé nei suoi viaggi, passando per Milano e infine alla corte del Re di Francia, Francesco. Leonardo non se ne separerà mai, lasciandola solo in punto di morte al monarca francese, come per non lasciare sola un’amica che ha tenuto gelosamente vicino a sé. Sarà stato quello sguardo che non ti lascia mai o la terapia del sorriso che ancora non era stata teorizzata, ma mi piace immaginare come la Gioconda, a suo modo, si sia presa cura di Leonardo, in silenzio, sorridendo.
Newsletter #60 - Gennaio 2025
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Opera iconica, simbolo della pittura mondiale, si tratta sicuramente del ritratto più celebre della storia nonché di una delle opere d'arte più note in assoluto. La Gioconda di Leonardo è qualcosa che va al di là dell’arte e della pittura, è un testimonial, un patrimonio umano unico nel suo genere. Il sorriso quasi impercettibile del soggetto, col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, letteratura, opere di immaginazione e persino studi psicoanalitici. Voleva partire da qui la connessione con il mondo della Cura: la terapia del sorriso, del ridere, con tutti i suoi studi sul rilascio di serotonina e in seconda battuta della melatonina con tutti i benefici che questi ormoni hanno sul nostro vivere quotidiano.
Un altro aspetto però si è insinuato durante la stesura di questo testo, ovvero il rapporto che Leonardo ha instaurato con quest’opera. Un quadro come detto unico nel suo genere, ma che dai recenti studi del secolo scorso risulta una realizzazione laboriosa, ripensata, ridefinita più e più volte. Quella del ripensamento non è pratica rara per Leonardo, anzi, ne era un tratto distintivo del suo agire e fare pittura, ma quello che incuriosisce è poi il seguito della relazione tra Leonardo e la Gioconda. Trattandosi di un ritratto commissionato da Francesco del Giocondo che vede come soggetto la moglie Lisa (Monna Lisa), ci si sarebbe aspettato che avvenisse prima o poi una consegna ai committenti. Il quadro invece rimane con Leonardo, che se lo porta con sé nei suoi viaggi, passando per Milano e infine alla corte del Re di Francia, Francesco. Leonardo non se ne separerà mai, lasciandola solo in punto di morte al monarca francese, come per non lasciare sola un’amica che ha tenuto gelosamente vicino a sé. Sarà stato quello sguardo che non ti lascia mai o la terapia del sorriso che ancora non era stata teorizzata, ma mi piace immaginare come la Gioconda, a suo modo, si sia presa cura di Leonardo, in silenzio, sorridendo.
Newsletter #60 - Gennaio 2025
Continua a leggereChiudi - La gazza
Claude Monet
1868/69, olio su tela
Musée d’Orsay, ParigiLa genuinità della pittura impressionista fu una boccata d’aria fresca alle serre calde e sterili dell'arte fatta fino ad allora. Fu infatti a partire da Monet che l'Arte iniziò a rifuggire dall'artificiosità degli atelier e dei temi storici e mitologici, preferendo l'azione dei raggi luminosi sulla materia, riproducendone sulla tela, attraverso rapidi tocchi virgolati di pennello, il brulicante scintillio. Di questa irrefrenabile raccolta di energie e luci della natura operata da Monet La gazza - realizzato all'aria aperta, o en plein air, in gergo tecnico - costituisce certamente uno dei primissimi esempi.
L’impressionismo è stato la svolta che ha dato alla Storia dell’Arte la forza per reinventarsi, dopo anni di immobilismo riguardo temi e tecniche. Una sorta di cura per l’arte e Monet il suo medico: quel curante che entra nella stanza del malato e per prima cosa discosta le tende e apre la finestra per far cambiare l’aria e far entrare la luce naturale. Le opere di Monet, e di tutti gli impressionisti poi, sono quella finestra aperta, che ha dato alla Storia dell’Arte quella ventata di aria fresca per risollevarsi dal letto di classicismo e artificio su cui si era ormai adagiata da tempo.
Le feste che la fine dell’anno porta con sé sono alle volte costruzioni artificiose fatte di neve finta e abeti amputati racchiuse in casa tra banchetti e cenoni sfavillanti che ricordano però le nature morte riprodotte nei vecchi atelier. Lasciate che in queste festività la natura, la sua luce e la sua energia, accompagnino i momenti di affettuosa e gioiosa compagnia (sperando che quella non sia artificiosa) dando di quest’ultimi un’impressione diversa e quindi anche un nuovo senso.
Buone feste.
Newsletter #59 - Dicembre 2024
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La genuinità della pittura impressionista fu una boccata d’aria fresca alle serre calde e sterili dell'arte fatta fino ad allora. Fu infatti a partire da Monet che l'Arte iniziò a rifuggire dall'artificiosità degli atelier e dei temi storici e mitologici, preferendo l'azione dei raggi luminosi sulla materia, riproducendone sulla tela, attraverso rapidi tocchi virgolati di pennello, il brulicante scintillio. Di questa irrefrenabile raccolta di energie e luci della natura operata da Monet La gazza - realizzato all'aria aperta, o en plein air, in gergo tecnico - costituisce certamente uno dei primissimi esempi.
L’impressionismo è stato la svolta che ha dato alla Storia dell’Arte la forza per reinventarsi, dopo anni di immobilismo riguardo temi e tecniche. Una sorta di cura per l’arte e Monet il suo medico: quel curante che entra nella stanza del malato e per prima cosa discosta le tende e apre la finestra per far cambiare l’aria e far entrare la luce naturale. Le opere di Monet, e di tutti gli impressionisti poi, sono quella finestra aperta, che ha dato alla Storia dell’Arte quella ventata di aria fresca per risollevarsi dal letto di classicismo e artificio su cui si era ormai adagiata da tempo.
Le feste che la fine dell’anno porta con sé sono alle volte costruzioni artificiose fatte di neve finta e abeti amputati racchiuse in casa tra banchetti e cenoni sfavillanti che ricordano però le nature morte riprodotte nei vecchi atelier. Lasciate che in queste festività la natura, la sua luce e la sua energia, accompagnino i momenti di affettuosa e gioiosa compagnia (sperando che quella non sia artificiosa) dando di quest’ultimi un’impressione diversa e quindi anche un nuovo senso.
Buone feste.
Newsletter #59 - Dicembre 2024
Continua a leggereChiudi - Rispa che protegge i figli
Spartaco Vela
olio su tela, 1881
Museo Vincenzo Vela, LigornettoNella Bibbia la storia di Rispa è marginale. Concubina di Re Saul, dovette assistere alla morte dei due figli tramite crocefissione una volta terminato il suo regno. Per mesi però Rispa vegliò e protesse i corpi dei suoi figli fino a quando Re Davide non gli avesse garantito degna sepoltura.
Rispa dunque ci fa tornare a una delle figure che già abbiamo incontrato nella nostra rubrica, quella del famigliare curante. Con Rispa tocchiamo però la dimensione della cura dopo la morte, la cura della memoria e della dignità. Ci ricorda come anche il corpo più malato, devastato dalla malattia o dalla morte è involucro di una persona, di uno spirito vivente, di sentimenti; testimone concreto di una vita. Una testimonianza di cui è necessario che qualcuno si prenda cura. Anche difendere i diritti di chi ci si prende cura è un atto curante di per sé.
In quest’opera Spartaco Vela ritrae Rispa proprio in un momento di raccoglimento, un momento senza nessuna azione attiva, assorta nei suoi pensieri, eppure se ne prende cura.
La cura non è solo azione, ma è anche pensiero, memoria, resistenza e resilienza. La Rispa del Vela incarna tutto questo, la cura senza azione, la cura della memoria e della dignità.
Newsletter #58 - Novembre 2024
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Nella Bibbia la storia di Rispa è marginale. Concubina di Re Saul, dovette assistere alla morte dei due figli tramite crocefissione una volta terminato il suo regno. Per mesi però Rispa vegliò e protesse i corpi dei suoi figli fino a quando Re Davide non gli avesse garantito degna sepoltura.
Rispa dunque ci fa tornare a una delle figure che già abbiamo incontrato nella nostra rubrica, quella del famigliare curante. Con Rispa tocchiamo però la dimensione della cura dopo la morte, la cura della memoria e della dignità. Ci ricorda come anche il corpo più malato, devastato dalla malattia o dalla morte è involucro di una persona, di uno spirito vivente, di sentimenti; testimone concreto di una vita. Una testimonianza di cui è necessario che qualcuno si prenda cura. Anche difendere i diritti di chi ci si prende cura è un atto curante di per sé.
In quest’opera Spartaco Vela ritrae Rispa proprio in un momento di raccoglimento, un momento senza nessuna azione attiva, assorta nei suoi pensieri, eppure se ne prende cura.
La cura non è solo azione, ma è anche pensiero, memoria, resistenza e resilienza. La Rispa del Vela incarna tutto questo, la cura senza azione, la cura della memoria e della dignità.
Newsletter #58 - Novembre 2024
Continua a leggereChiudi - Niki de Saint Phalle
Nana-Angel
Stazione di Zurigo, 1997Catherine Marie-Agnès Fal de Saint Phalle, detta Niki, nacque a Neuilly-sur-Seine il 29 ottobre 1930 da una famiglia aristocratica francese. Niki avrebbe descritto la sua infanzia come di «privilegio e orrore»: entrambi i genitori erano violenti, e il padre avrebbe anche abusato di lei da quando era undicenne.
Si sposò a 19 anni, e dopo la nascita della prima figlia si trasferì a Parigi. Ma a 22 anni subì un crollo nervoso, tentò il suicidio e fu ricoverata in una clinica psichiatrica. Fu lì che si avvicinò al mondo dell’arte, un mondo che non avrebbe mai più lasciato.
La prima Nana è del 1965, un’espressione plastica della figura femminile attraverso cui l’artista cerca di trasmettere la volontà e il bisogno dell’emancipazione femminile. Niki de Saint Phalle, attraverso le sue Nanas ha affrontato il dolore che la sua condizione di femmina sottomessa e violentata aveva portato sull’orlo del baratro, riuscendo a divenire un messaggio di forza e speranza non solo per lei ma per tutte le donne.
Un altro esempio di come l’arte divenga un mezzo d’espressione della propria cura e della cura verso gli altri.
Newsletter #57 - Ottobre 2024
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Catherine Marie-Agnès Fal de Saint Phalle, detta Niki, nacque a Neuilly-sur-Seine il 29 ottobre 1930 da una famiglia aristocratica francese. Niki avrebbe descritto la sua infanzia come di «privilegio e orrore»: entrambi i genitori erano violenti, e il padre avrebbe anche abusato di lei da quando era undicenne.
Si sposò a 19 anni, e dopo la nascita della prima figlia si trasferì a Parigi. Ma a 22 anni subì un crollo nervoso, tentò il suicidio e fu ricoverata in una clinica psichiatrica. Fu lì che si avvicinò al mondo dell’arte, un mondo che non avrebbe mai più lasciato.
La prima Nana è del 1965, un’espressione plastica della figura femminile attraverso cui l’artista cerca di trasmettere la volontà e il bisogno dell’emancipazione femminile. Niki de Saint Phalle, attraverso le sue Nanas ha affrontato il dolore che la sua condizione di femmina sottomessa e violentata aveva portato sull’orlo del baratro, riuscendo a divenire un messaggio di forza e speranza non solo per lei ma per tutte le donne.
Un altro esempio di come l’arte divenga un mezzo d’espressione della propria cura e della cura verso gli altri.
Newsletter #57 - Ottobre 2024
Continua a leggereChiudi - Michelangelo Buonarroti
Firenze, 1530
Carboncino su pareteNel 1530, il grande artista Michelangelo si ritirò in segreto sotto le volte delle Cappelle Medicee, cercando rifugio dalle possibili ritorsioni dei potenti Medici, tornati a Firenze dopo l’esperienza repubblicana. In quel luogo segreto, concepì dei disegni eccezionali destinati a rimanere ignoti per secoli, riscoperti solo nel 1975.
Un luogo segreto, un luogo sicuro, una sorta di bozzolo dove l’artista non smette di creare, ma anzi abbozza immagina, crea. Un luogo dove, chiuso con se stesso, l’uomo si interroga e cerca di capirsi, curarsi, in quel modo introspettivo che molte volte abbiamo incontrato in questa rubrica, proprio perché l’arte stessa è un veicolo di cura.
Michelangelo uscirà da questi locali e spiccherà un’ultima volta il volo verso Roma e la corte papale, per dar vita ancora a capolavori come il Giudizio Universale, come una farfalla uscita dal bozzolo.
Luoghi segreti, intimi, dove rigenerarsi e prendersi cura di se e della propria arte, ma anche per riscoprire l’arte di stare al mondo.
Newsletter #56 - Settembre 2024
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Nel 1530, il grande artista Michelangelo si ritirò in segreto sotto le volte delle Cappelle Medicee, cercando rifugio dalle possibili ritorsioni dei potenti Medici, tornati a Firenze dopo l’esperienza repubblicana. In quel luogo segreto, concepì dei disegni eccezionali destinati a rimanere ignoti per secoli, riscoperti solo nel 1975.
Un luogo segreto, un luogo sicuro, una sorta di bozzolo dove l’artista non smette di creare, ma anzi abbozza immagina, crea. Un luogo dove, chiuso con se stesso, l’uomo si interroga e cerca di capirsi, curarsi, in quel modo introspettivo che molte volte abbiamo incontrato in questa rubrica, proprio perché l’arte stessa è un veicolo di cura.
Michelangelo uscirà da questi locali e spiccherà un’ultima volta il volo verso Roma e la corte papale, per dar vita ancora a capolavori come il Giudizio Universale, come una farfalla uscita dal bozzolo.
Luoghi segreti, intimi, dove rigenerarsi e prendersi cura di se e della propria arte, ma anche per riscoprire l’arte di stare al mondo.
Newsletter #56 - Settembre 2024
Continua a leggereChiudi - Paolo Veronese
Museo del Louvre, 1563
Il dipinto illustra il noto episodio contenuto nel Vangelo secondo Giovanni, quello con Gesù che operò miracolosamente la tramutazione dell'acqua in vino durante un matrimonio a Cana. La scena è ricca di particolari e mostra nella sua ambientazione una commistione di dettagli antichi e contemporanei.
Il pittore colloca l'episodio in uno spazio architettonico d'ispirazione classica, composto da un cortile aperto verso lo spettatore e chiuso a destra e sinistra da due vasti colonnati e sul retro da una zona rialzata cinta da una balaustra. La prospettiva è centrale e lo spazio perfettamente simmetrico, a parte per la torre posta in posizione decentrata. Malgrado l’impostazione porti a focalizzare lo sguardo sulla figura del Cristo, non possiamo non notare che in primo piano e le figure sullo sfondo che definiscono il contro della scena sono servitori. Gente che versa da bere, suona, cucina e trasporta cibi e vivande. Personaggi anonimi, ma fondamentali alla riuscita della scena. Persone che si prendono cura degli astanti, che tutto funzioni al meglio e che la festa riesca. Una messa a servizio incondizionata e totale. Cosa sarebbe questa scena togliendo le persone che si prendono cura della tavolata. Esisterebbero i momenti belli della vita se non ci fosse chi, nel tragitto esistenziale, ci supportasse e si prendesse cura silenziosamente di noi?
Citando una frase da “La vita è bella” di Roberto Benigni: “Ricorda, Dio è il primo servitore”. Forse per questo, al centro dell’immagine, ci sta il Cristo, incorniciato tra chi serve e chi cura.Newsletter #54 - Luglio 2024
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Il dipinto illustra il noto episodio contenuto nel Vangelo secondo Giovanni, quello con Gesù che operò miracolosamente la tramutazione dell'acqua in vino durante un matrimonio a Cana. La scena è ricca di particolari e mostra nella sua ambientazione una commistione di dettagli antichi e contemporanei.
Il pittore colloca l'episodio in uno spazio architettonico d'ispirazione classica, composto da un cortile aperto verso lo spettatore e chiuso a destra e sinistra da due vasti colonnati e sul retro da una zona rialzata cinta da una balaustra. La prospettiva è centrale e lo spazio perfettamente simmetrico, a parte per la torre posta in posizione decentrata. Malgrado l’impostazione porti a focalizzare lo sguardo sulla figura del Cristo, non possiamo non notare che in primo piano e le figure sullo sfondo che definiscono il contro della scena sono servitori. Gente che versa da bere, suona, cucina e trasporta cibi e vivande. Personaggi anonimi, ma fondamentali alla riuscita della scena. Persone che si prendono cura degli astanti, che tutto funzioni al meglio e che la festa riesca. Una messa a servizio incondizionata e totale. Cosa sarebbe questa scena togliendo le persone che si prendono cura della tavolata. Esisterebbero i momenti belli della vita se non ci fosse chi, nel tragitto esistenziale, ci supportasse e si prendesse cura silenziosamente di noi?
Citando una frase da “La vita è bella” di Roberto Benigni: “Ricorda, Dio è il primo servitore”. Forse per questo, al centro dell’immagine, ci sta il Cristo, incorniciato tra chi serve e chi cura.Newsletter #54 - Luglio 2024
Continua a leggereChiudi - La Cattedrale
Auguste Rodin, 1908
ParigiL'opera di Auguste Rodin nota come La Cattedrale è in realtà formata da due mani destre, appartenenti a due persone diverse, che si toccano. Prima di chiamarla Cattedrale, Rodin pensò al titolo L'arca dell'alleanza, ma cambiò probabilmente perché il risultato finale gli ricordava un arco di una cattedrale gotica.
Si tratta, in ogni caso, di un'opera dotata di una forte carica di simbolismo. È evidente come le mani sembrino quasi giunte in preghiera, ma come detto in precedenza sono due mani destre e di due persone differenti. Mi piace pensare che siano le mani di un curatoe di un curante. Una connessione che si crea tra chi presta la cura e chi la riceve, diventando un’unica forza spirituale, un’unica energia. Quell’energia, che si eleva come le volte di una cattedrale e che noi semlicemente chiamiamo Cura.Newsletter #52 - Maggio 2024
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L'opera di Auguste Rodin nota come La Cattedrale è in realtà formata da due mani destre, appartenenti a due persone diverse, che si toccano. Prima di chiamarla Cattedrale, Rodin pensò al titolo L'arca dell'alleanza, ma cambiò probabilmente perché il risultato finale gli ricordava un arco di una cattedrale gotica.
Si tratta, in ogni caso, di un'opera dotata di una forte carica di simbolismo. È evidente come le mani sembrino quasi giunte in preghiera, ma come detto in precedenza sono due mani destre e di due persone differenti. Mi piace pensare che siano le mani di un curatoe di un curante. Una connessione che si crea tra chi presta la cura e chi la riceve, diventando un’unica forza spirituale, un’unica energia. Quell’energia, che si eleva come le volte di una cattedrale e che noi semlicemente chiamiamo Cura.Newsletter #52 - Maggio 2024
Continua a leggereChiudi - Pietà
Michelangelo Buonarroti, 1499
Basilica di S. Pietro, RomaNon c’è nulla di più vicino al concetto di Cura di quella che una madre presta al proprio figlio. Una cura quotidiana e perpetua, di svariate forme, che non conosce limiti se non quella della morte. Forse. Sebbene la conosciamo tutti come “La Pietà” in questa scultura di Michelangelo non c’è nulla che tenda al pietistico o al compassionevole. È una madre che tiene sulle proprie ginocchia il figlio. Il volto è sereno e disteso, le braccia forti, come se tenesse davvero in braccio un bambino (non si serve neanche dell’altro braccio per sorreggere il busto di Gesù). Sereno è anche il figlio, nonostante la dolorosa tortura della crocifissione. Entrambi appaiono giovanissimi, aspetto che suscitò numerose polemiche: non era possibile che la madre di Cristo sembrasse una ragazza se, alla morte del figlio, avrebbe dovuto avere circa cinquant’anni. Ma Michelangelo sapeva bene che una madre rimane tale per sempre, e in questa scultura la madre si prende ancora cura del figlio, un’ultima volta, come faceva da giovane per farlo addormentare o quando ne coccolava il pianto dopo una caduta. Questa scultura si erge a simbolo del famigliare curante e Michelangelo ne coglie lo spirito: non compassionevole, non pietistico, ma forte e sereno della scelta fatta, di stare accanto al proprio caro fino alla fine.
Newsletter #51 - Aprile 2024
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Non c’è nulla di più vicino al concetto di Cura di quella che una madre presta al proprio figlio. Una cura quotidiana e perpetua, di svariate forme, che non conosce limiti se non quella della morte. Forse. Sebbene la conosciamo tutti come “La Pietà” in questa scultura di Michelangelo non c’è nulla che tenda al pietistico o al compassionevole. È una madre che tiene sulle proprie ginocchia il figlio. Il volto è sereno e disteso, le braccia forti, come se tenesse davvero in braccio un bambino (non si serve neanche dell’altro braccio per sorreggere il busto di Gesù). Sereno è anche il figlio, nonostante la dolorosa tortura della crocifissione. Entrambi appaiono giovanissimi, aspetto che suscitò numerose polemiche: non era possibile che la madre di Cristo sembrasse una ragazza se, alla morte del figlio, avrebbe dovuto avere circa cinquant’anni. Ma Michelangelo sapeva bene che una madre rimane tale per sempre, e in questa scultura la madre si prende ancora cura del figlio, un’ultima volta, come faceva da giovane per farlo addormentare o quando ne coccolava il pianto dopo una caduta. Questa scultura si erge a simbolo del famigliare curante e Michelangelo ne coglie lo spirito: non compassionevole, non pietistico, ma forte e sereno della scelta fatta, di stare accanto al proprio caro fino alla fine.
Newsletter #51 - Aprile 2024
Continua a leggereChiudi - Il viandante sul mare di nebbia
Caspar David Friedrich, 1818
olio su tela, Hamburger Kunsthalle, Amburgo, GermaniaQuesta volta parliamo di un dipinto che fu scelto anche come copertina per un’edizione del romanzo Cime tempestose di Emily Brönte.
L’opera raffigura un paesaggio di estrema bellezza e drammaticità. Una figura solitaria è in piedi su un precipizio aggettante su montagne coperte di nebbia. La vista è mozzafiato grazie alla mescolanza luminescente di tenui blu, grigi, viola e gialli. Non sappiamo se il viandante è in procinto di sfidare la nebbia o ne sta uscendo e guarda alle sue spalle il cammino intrapreso. Il quadro di Friedrich lascia aperta l’interpretazione: gioire per essere usciti dalla nebbia o domandarsi se si è pronti ...
Questa volta parliamo di un dipinto che fu scelto anche come copertina per un’edizione del romanzo Cime tempestose di Emily Brönte.
L’opera raffigura un paesaggio di estrema bellezza e drammaticità. Una figura solitaria è in piedi su un precipizio aggettante su montagne coperte di nebbia. La vista è mozzafiato grazie alla mescolanza luminescente di tenui blu, grigi, viola e gialli. Non sappiamo se il viandante è in procinto di sfidare la nebbia o ne sta uscendo e guarda alle sue spalle il cammino intrapreso. Il quadro di Friedrich lascia aperta l’interpretazione: gioire per essere usciti dalla nebbia o domandarsi se si è pronti ad affrontarla?
La sensazione di isolamento del viandante è accentuata dalla visuale posteriore della sua figura, sebbene essa sia il centro verso cui converge ogni elemento del dipinto. Proprio come Heathcliff, personaggio del romanzo Cime tempestose, il viandante si trova solo a fare i conti con i suoi pensieri, dubbi e stati d’animo.
L’anima dell’opera è, nonostante la maestosità, malinconica, come del resto molti dipinti di Friedrich e come il romanzo di Brönte ne è costantemente impregnato.
Le due opere, il quadro di Friedrich e il romanzo di Brönte, confluiscono in un unico dilemma: cosa ci fa male e cosa ci fa bene? Da cosa dobbiamo curarci? Che cosa perseguire per il nostro benessere, per curare noi stessi ed essere pronti a curare gli altri?
Newsletter #50 - Marzo 2024
Continua a leggereChiudi - L’arca di Noè
Aurelio Luini, 1555 ca.
Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, MilanoNoè entra nell’arca. E quello fu il momento di una soglia oltrepassata, di una nuova piega degli eventi, gesto probabilmente nascosto ai più ma che tracciò, secondo le scritture, una linea definitiva.
Cosa succede quando ci si ammala? Ci si rinchiude in casa, ci si isola, si limitano i contatti con l’esterno. Ci si ritira in qualche modo per affrontare il percorso che conduca alla guarigione. Cosi come Noè con gli animali si rinchiude nell’arca per isolarsi dall’umanità “malata” prima dell’avvento del Diluvio, cosi il percorso di cura inizia con un rinchiudersi in se stessi per cominciare un percorso di cura. Entrare nell’arca come inizio del cammino di cura. Entrare nell’arca non significa uscire dal mondo ma rientrare in noi stessi, racchiudersi come un bruco prima di diventare farfalla.
Rientrare in noi stessi per ascoltare il bisogno di prendersi cura di noi.Sarà solo e sempre l’arte del prendersi cura a portarci in salvo. Noi, arca di noi stessi.
Newsletter #49 - Febbraio 2024
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Noè entra nell’arca. E quello fu il momento di una soglia oltrepassata, di una nuova piega degli eventi, gesto probabilmente nascosto ai più ma che tracciò, secondo le scritture, una linea definitiva.
Cosa succede quando ci si ammala? Ci si rinchiude in casa, ci si isola, si limitano i contatti con l’esterno. Ci si ritira in qualche modo per affrontare il percorso che conduca alla guarigione. Cosi come Noè con gli animali si rinchiude nell’arca per isolarsi dall’umanità “malata” prima dell’avvento del Diluvio, cosi il percorso di cura inizia con un rinchiudersi in se stessi per cominciare un percorso di cura. Entrare nell’arca come inizio del cammino di cura. Entrare nell’arca non significa uscire dal mondo ma rientrare in noi stessi, racchiudersi come un bruco prima di diventare farfalla.
Rientrare in noi stessi per ascoltare il bisogno di prendersi cura di noi.Sarà solo e sempre l’arte del prendersi cura a portarci in salvo. Noi, arca di noi stessi.
Newsletter #49 - Febbraio 2024
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